L’ex regista di Roma e Nazionale al Corsera: «Italia 90 la delusione più grande, a Napoli andai perché mi chiamò Mazzone»

Giannini, il “principe”: «Senza capelli, la gente nemmeno mi riconosce». L’intervista al Corriere della Sera di Giuseppe Giannini, ex regista della Roma e della Nazionale di Vicini.
Come si vede?
«Faccio fatica a rivedere vecchie immagini. Sono cambiato tantissimo e mi “rode” adesso che sono senza capelli. Mi dà un po’ fastidio sinceramente, quindi evito di guardarmi. La gente neanche mi riconosce per strada».
Un suo «grande rifiuto»?
«Io e Viola rifiutavamo qualsiasi offerta. In Nazionale ricevevo sempre i complimenti di Boniperti. Si avvicinava (era capo delegazione allora), faceva qualche battuta, diceva “Ti voglio alla Juve”. Per me finiva lì. Alla fine andai allo Sturm Graz pur di non restare in Italia. La situazione è cambiata quando è arrivato Sensi. Poi sono tornato al Napoli, ma solo perché mi chiamò Mazzone».
La delusione più grande?
«La semifinale del Mondiale del ‘90 a Napoli non è paragonabile ad altro per importanza».
Ha avuto poca fortuna con la maglia azzurra?
«Se penso a quella sera… basta una svista per segnare una carriera. Un conto è se arrivi in finale, un altro conto se perdi prima…».
L’anno prossimo compirà 60 anni, con chi le mancherà festeggiare?
«Mi mancheranno gli auguri dei miei genitori. E quelli di altre persone con cui ho condiviso esperienze, penso a Vialli e a Mihajlovic che sono scomparsi da poco. E poi di qualche capo della tifoseria giallorossa che non c’è più e con cui ho condiviso trasferte, momenti belli e meno belli».
IL DOCUFILM SU MAZZONE (IL NAPOLISTA)
Ed è proprio quel cuore smisurato, insieme alla passione per il calcio, che emerge dalle testimonianze dei suoi giocatori-figli: Francesco Totti, Giuseppe Giannini, Roberto Baggio, Beppe Signori e Josep Guardiola… Carletto aiuta il papà in un’officina meccanica ma con la complicità di mamma Iole fugge al campo di calcio perché questa è la sua passione. Esordisce anche in prima squadra con la Roma centromediano, poi va ad Ascoli e ci resta perché trova il suo amore. C’è, però, il solito infortunio spezza-carriere, ma ad Ascoli trova anche Costantino Rozzi che gli disegna una carriera da tecnico che il nostro corre in tutte le piazze d’Italia: Bologna, Cagliari, Ascoli, la Roma del principe Giannini, di Balbo e Fonseca e di un giovanissimo Francesco Totti che regalò a Carletto la sua coppetta del Mondo per ringraziarlo di averlo cresciuto in campo e fuori. Poi il nubifragio di Perugia, “perché ci voleva un romanista per far vincere alla Lazio uno scudetto”. Eppoi il miracolo Brescia con un redivivo Lazzaro-Baggio e quella corsa dopo il 3-3 verso la curva dell’Atalanta, “perché si può scherzare su tutto, ma non sulla mamma”. E lo spareggio maledetto di Napoli con il Cagliari per restare in ‘A’.