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Guardiola: «Il fattore fortuna non puoi controllarlo, ma è importantissimo nella vita»

Al Foglio: «se sono diventato un grande allenatore è perché un giorno il Barcellona mi ha scelto. Velasco mi insegnò che ogni giocatore è diverso»

Guardiola: «Il fattore fortuna non puoi controllarlo, ma è importantissimo nella vita»
Manchester (Inghilterra) 14/09/2022 - Champions League / Manchester City-Borussia Dortmund / foto Imago/Image Sport nella foto: Josep Guardiola ONLY ITALY

Pep Guardiola con l’Italia ha un rapporto particolare, è venuto a giocare a Brescia solo per essere allenato da compianto Carlo Mazzone. In occasione di un incontro organizzato al Palazzetto dello sport di Cuneo dalla Fondazione Crc, ha rilasciato un’intervista al Foglio.

Al quotidiano confessa la passione smodata per la pasta con le vongole, ma i temi interessanti con Guardiola ruotano tutti intorno ad un pallone:

«La mia storia non è molto diversa da quella di tutti i ragazzi che praticano sport. Facendo le stesse cose poteva andare tutto diversamente. Il fattore fortuna non puoi controllarlo, ma è importantissimo nella vita. Se sono arrivo in cima lo devo a tante componenti che ho trovato per strada. Ci ho messo del mio, senza dubbio: impegno e passione, ma se sono diventato un grande allenatore è perché un giorno il Barcellona mi ha scelto».

A quando l’illuminazione di diventare allenatore:

«A 26/27 anni ho cominciato a pensare che avrei fatto l’allenatore. Dopo Brescia e Al-Ahly, in Qatar, avevo praticamente smesso di giocare. Ma ho voluto fare sei mesi coi Dorados di Sinalo, la terra del Chapo, con un solo obiettivo: essere allenato da Juanma Lillo. Anni dopo è diventato il mio vice, un braccio destro al quale non posso rinunciare».

Non manca il pensiero su Messi, il più forte di tutti i tempi secondo il tecnico catalano. Interessante è però l’aneddoto su Julio Velasco e il rapporto con la sconfitta:

«Julio Velasco me lo insegnò anni fa in una cena che ebbi l’onore di fare con lui a Roma: ogni giocatore è diverso – mi disse – c’è quello con cui parlare di tattica, quello che inviti a pranzo, quello che puoi rimproverare davanti a tutti (Haaland, ndr), quello che invece devi portartelo in ufficio. Comunque ho sempre pensato che un giocatore debba essere preoccupato se il suo allenatore non gli urla dietro, vuol dire che per lui non sei importante». Chissà che ne pensa Ibra di queste parole.

Il rapporto con la sconfitta:

«Arrivare alla finale di Champions era un successo incredibile. La tristezza per la sconfitta (contro il Chelsea nel 2021, ndr) era enorme, ma mi dovevo vergognare perché allenavo la seconda squadra più forte in Europa? Nello sport sono più quelli che perdono rispetto a quelli che vincono. Non sono perfetto, lo dico anche ai miei giocatori. Ognuno deve fare la sua vita, dando il meglio. Anche chi vince prima o poi perde».

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