La partitaccia di ieri in poche parole scelte da Gianni Montieri: da mestizia ad approssimazione. Fino a confusione che è anche un omaggio a Battisti
In poche parole
Merito e fortuna tutte da declinare sui calciatori e l’allenatore della Fiorentina. Hanno preparato benissimo la partita e l’hanno vinta, quando giochi bene succede che anche la fortuna ti assista. La fortuna è casuale fino a un certo punto, basti pensare al gol di Bonaventura, Olivera interviene in maniera scoordinata, ma la buona sorte dei viola finisce lì. Dopo c’è Bonaventura che stava in quel posto perché assecondava lo schema, e che con calma e il briciolo di talento necessario controlla e piazza la palla nell’angolino, Meret immobile. La fortuna vera, quella casuale, si sarebbe concretizzata se il tiro di Bonaventura fosse finito fuori.
Mestizia, è un sostantivo femminile, questa la definizione: “Tristezza che traspare chiaramente dall’aspetto e dall’atteggiamento concentrato e rassegnato di chi ne soffre”. L’aspetto rassegnato, chi ne soffre? Chi ne ha sofferto? I tifosi naturalmente, gli appassionati del bel gioco, ma questo è conseguenza, è secondario. La mestizia vera di ieri sera nasce dall’atteggiamento rassegnato dei calciatori del Napoli, da un certo punto in poi, l’aria di chi non sa che fare, dove mettersi, qual decisione prendere. L’aria smarrita che precede ogni tristezza, l’aria mesta di Osimhen, occhi al cielo dalla panchina; l’aria mesta di Politano quando viene sostituito; l’aria mesta e stralunata di Lobotka. L’aria mesta di Kvara che, pur non essendo in serata, dà una palla a Raspadori e una a Cajuste che meritavano di essere trattate con maggior rispetto. Senza mestizia.
Approssimazione, mi dispiace ma è tutta per Garcia. Se la guadagna dopo venti minuti, quando si infortuna Anguissa e lui invece di mettere Cajuste mette Raspadori, rovinando tatticamente tutto il resto della partita, offrendoci lo stupore di vedere sprecato Zielinski a fare il mediano. Si accorge di aver fatto una stupidaggine e toglie Politano per Cajuste. Troppo tardi, è sempre troppo tardi. Ogni azione ha una conseguenza, così come ce l’ha ogni sostituzione sbagliata. Di sbaglio in sbaglio, di approssimazione in approssimazione si arriva a togliere Osimhen a un quarto d’ora dalla fine, scelta che avrebbe potuto anche funzionare se il resto dell’impalcatura non fosse già crollata prima.
Michu, non una parola ma un cognome. Avrete già capito (grazie al mio amico Raffaele per il suggerimento), Michu è Raspadori, che riceve palla dopo un numero di Kvara, è tutto solo, a pochi metri dalla porta, e invece di calciare appoggia verso Simeone, che viene anticipato. Là devi tirare, non l’hai fatto e diventi Michu almeno per un po’, fino a prova contraria, fino a un gol.
Lunedì, il secondo tempo del Napoli assomiglia ai più terribili lunedì delle nostre vite. Quelli in cui ti alzi con un mal di testa terribile, diluvia, hai una riunione alle nove, c’è traffico, buchi una ruota sull’Asse Mediano, non trovi il ruotino, una macchina prende una pozzanghera e ti fa il bagno, arrivi in ufficio tardissimo, la riunione è finita, ha preso la parola un altro al posto tuo, ti licenziano, torni a casa e la tua compagna / compagno ti ha lasciato. Sul biglietto c’è scritto: Vado a vivere a Firenze, addio.
Confusione, no, non è la canzone di Battisti, non è un vecchio e sporco imbroglio, ma c’è l’abbaglio. Ci sono l’ordine e l’organizzazione che sembravano tornati con Udinese, Lecce e, perfino, Real Madrid e invece ieri sera sono spariti. Confusione, confusione, mi dispiace, se sei figlia della solita illusione e se fai confusione; qui è Lucio Battisti che legge direttamente i mille appunti di Garcia.
Novembre, ho pensato ieri sera al terzo gol di Nico, un umidissimo novembre, infinito lungo dodici mesi, in cui qualcuno continuamente ci infilerà in contropiede, mentre saremo sbilanciati a recuperare uno svantaggio, e lo saremo in maniera disorganizzata.
Poesia, questa parola non è pervenuta.
Cittadinanza, scherzando, qualche giorno fa, ho commentato il fatto che Zielinski è diventato cittadino italiano. Speriamo che non diventi scarso, ho detto. Non c’è pericolo, l’unico pericolo è che l’allenatore ne disperda il talento.
Uallera, senza dilungarci, è tutto fin troppo chiaro: questi siamo tutti noi, appesantiti, increduli e immalinconiti.