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La polemica sulla clausola di Spalletti ci ricordò la scarsa managerialità del calcio italiano

Tutto all’insegna del “volemose bene”, del “fare piaceri per riceverne altrettanti”. Poi ci stupiamo per l’asta diritti tv al ribasso

La polemica sulla clausola di Spalletti ci ricordò la scarsa managerialità del calcio italiano

Ora che Luciano Spalletti è nel pieno delle sue funzioni e il campionato è iniziato, forse si può cercare con un attimo di lucidità e mente fredda di recuperare l’assurdo tormentone estivo: la fantomatica clausola da 3 milioni di euro infilata da Aurelio De Laurentiis nel contratto del mister toscano.

Non voglio entrare nel merito o, peggio, nel demerito del dibattito sull’opportunità di averla inserita. Né  finire a piè pari nell’oziosa querelle “è giusto o sbagliato far pagare 3 milioni alla Figc” per assicurare Spalletti alla nazionale italiana. Questo lo decideranno i protagonisti della vicenda e forse un tribunale.

Ripescare oggi la polemica estiva, però, è molto interessante perché serve a rendersi conto ancora una volta di quanto sia decadente il movimento calcistico italiano, strutturato principalmente su una nicchia di piccolo potere fatto di piaceri, piacerini, strizzate d’occhio e conflitti d’interesse quanto mai prima sotto gli occhi di tutti.

Per un mese circa i principali protagonisti del calcio raccontato ci hanno detto, più o meno esplicitamente, che Aurelio De Laurentiis avrebbe fatto bene a rinunciare ai 3 milioni così da aprirsi un personale credito nei confronti della Federazione. C’è un articolo della Gazzetta dello Sport dal titolo “Adl regali Spalletti alla Nazionale”, datato 16 agosto, che riassume molto bene il concetto: “De Laurentiis ha una grande occasione: ‘regalare’ Luciano Spalletti e il suo gioco alla Nazionale, in piena emergenza calcistica. Scavalcando la clausola di concorrenza – l’Italia è una federazione calcistica e non un club – avrebbe la possibilità di dire agli italiani ‘vi concedo il mio ex allenatore” e guadagnerebbe molte indulgenze calcistiche da spendere in innovazioni nel campionato, della cui carenza si lamenta da anni’ ”. Ecco, per un mese l’Italia del calcio ha detto chiaramente e senza timore che un presidente di un club (in questo caso il Napoli) avrebbe dovuto fare un piacere di carattere economico alla federazione (la Figc che dovrebbe garantire a tutti imparzialità) in cambio di piaceri futuri. L’invito alla compravendita di indulgenze dovrebbe aprire ad una riforma seria e puntuale, ma non ci sono Martin Lutero all’orizzonte.

Ecco il messaggio che abbiamo lanciato al mondo. Incredibile che gli altri club di Serie A non si siano ribellati (invero si sono ribellati per il motivo opposto, non vogliono che la federazione paghi l’emolumento al Napoli).  Infine il non detto del ‘fare piaceri per riceverne altrettanti’ è che, se l’accordo non si fa, ci saranno eventuali ritorsioni sportive.

In un pianeta calcio così, dove l’accordicchio viene sbandierato senza nemmeno nascondersi dietro motivazioni alte (seppur ipocrite), sarà difficile vedere qualcosa di buono. D’altronde le aste per i diritti tv della Serie A sembrano un tressette a perdere e conclamate violazioni della lealtà sportiva di società e presidenti vengono derubricate a piccole infrazioni come l’eccesso di velocità. Qui non si tratta di una questione morale in chiave pallonara né di una ricerca di purezza, ci mancherebbe. Si tratta invece di mancanza di serietà, nessuna capacità manageriale ed un modo di fare davvero imbarazzante.

In bocca al lupo a mister Spalletti e complimenti all’Italia per gli Europei 2032.

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