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La sconfitta più grave è Thierry Henry alla Cbs che denuncia il razzismo del Napoli per Osimhen

È uno dei tanti effetti della napoletanizzazione della presidenza De Laurentiis, fenomeno che non accenna a diminuire

La sconfitta più grave è Thierry Henry alla Cbs che denuncia il razzismo del Napoli per Osimhen
Former French football player and newly appointed France U21 head coach Thierry Henry sings the national anthem prior to the U21 friendly football match between France and Denmark at the Marcel-Picot stadium in Tomblaine, near Nancy, eastern France, on September 7, 2023. (Photo by Jean-Christophe VERHAEGEN / AFP)

Archiviata la partita col Real Madrid, in città si discute di Meret, dell’ultima esternazione dell’agente di Mario Rui contro Garcia e (sullo sfondo) delle dichiarazioni di Aurelio De Laurentiis. Nessun accenno invece a quel che è accaduto ieri sera alla Cbs-Paramount (che ha trasmesso negli Usa Napoli-Real Madrid), con cinque minuti cinque dedicati ai video TikTok del Napoli, uno dei quali è stato definito senza dubbio razzista da Thierry Henry (non proprio l’ultimo arrivato nel mondo del calcio). Un danno incalcolabile per il club che – speriamo – se ne sia reso conto anche se ha già incredibilmente fallito la prima chance evitando di chiedere scusa al giocatore in un comunicato che non sappiamo bene cosa fosse.

In questa vicenda Osimhen il Napoli di De Laurentiis ha compiuto un altro passo verso la napoletanizzazione del club. Processo che non vorremmo fosse diventato irreversibile e che è cominciato con la tristemente celebre fotografia del presidente con gli ultras, foto accompagnata dalla didascalia “Napoli siamo noi”. Da quel momento (lo scudetto di fatto era già vinto, mancava la vidimazione dell’aritmetica) una presidenza che si era contraddistinta per una ostentata e costante estraneità culturale alla città, è progressivamente scivolata in una rappresentazione di sé improntata al populismo e all’oleografia.

Una strambata così evidente, eppure pare non colta da tutti. L’altro giorno abbiamo letto sul Corriere del Mezzogiorno l’editoriale di un osservatore attento come Antonio Polito che stavolta sembrava ispirato dal film “Good-bye Lenin”. Sono bastati due successi su Udinese e Lecce (non proprio Real Madrid e Manchester City) per ispirare un elogio-ritratto del presidente che viene ancora dipinto come un corpo estraneo illuminato a Napoli. Sarebbe stato perfetto fino a sei mesi fa. Tanti ne abbiamo scritti di articoli così sul Napolista. Le situazioni però cambiano. A parte il paragone ardito e ormai démodé con i protagonisti della Repubblica Napoletana del 1799 (facciamo un po’ di fatica a immaginare una contemporanea Eleonora Pimentel Fonseca in posa coi sanfedisti e la scritta “Napoli siamo noi”, tant’è vero che lei ha fatto la fine che ha fatto e lui è osannato dal popolo), a nostro avviso oggi De Laurentiis è immerso nella città di Napoli. Vi si è tuffato. Cura rapporti, cuce trame. Rilascia dichiarazioni per cui fatichiamo a trovare una definizione, come quando all’ottimo Francesco Palmieri consegna la sua visione contrapposta a quella di La Capria (Dudù ci perdoni ) che definì Napoli città che “ti ferisce a morte o t’addormenta”. «Napoli non mi addormenta né ferisce – dice Adl -. Mi bacia. E io la adoro. L’immagine più bella è quando mi allontano sul mare, la vedo progressivamente più distante e ho l’impressione che mi abbracci».

A conferma della sua completa immersione nel tessuto cittadino, la Federico II sta preparando la sua laurea honoris causa. Con grave ritardo, aggiungiamo, speriamo non fuori tempo massimo. De Laurentiis andava premiato quando davvero era una voce straniera a Napoli. Ma allora sì che sarebbe stato un evento culturale, in controtendenza: l’Università che riconosce chi ha il coraggio di fare impresa respingendo gli stereotipi cittadini e di fatto diventando l’uomo più odiato in città. Non è accaduto. Perché, è bene ribadirlo, Aurelio De Laurentiis è stato un presidente straordinario. E magari tornerà ad esserlo. Per adesso possiamo dire che è cambiato. Magari funziona anche la sua visione made in Naples.

Intanto i cinque minuti alla Cbs, con tutta la gestione raffazzonata della vicenda Osimhen, stanno lì a confermare quanto la nuova versione di De Laurentiis sia decisamente più napoletana e meno internazionale. Non più la Napoli da esportazione, quella che primeggia nel mondo in molti ambiti. Ma la Napoli stagnante, da cartolina, e che tra le altre cose si autoproclama antirazzista a priori. La Napoli convinta di essere il centro del mondo. E che invece ne è sideralmente lontana. Sperando che il Calcio Napoli non segua la stessa strada.

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