Al Napoli Film Festival il documentario di Nuzzo sul giornalista ucciso dalla camorra. Ci sono Marco Risi, il fratello, un solo giornalista
Abbiamo appena finito di vedere in un’anteprima privata il documentario del regista Giuseppe Alessio Nuzzo “Mi chiamo Giancarlo Siani” che è stato presentato in anteprima al “Napoli film festival”. L’espediente narrativo della voce fuori campo dove lo stesso cronista napoletano Giancarlo – con la voce di Domenico Cuomo – si racconta in prima persona non è la sola novità d’effetto della produzione, perché se attentamente vissuta quest’opera nella sua sintesi disegna bene chi è stato il giornalista-giornalista Siani, ucciso dalla camorra napoletana per reato di scrittura il 23 settembre del 1985. Se lo spettatore si estranea dall’emotività della vicenda scoprirà – prima del giornalista – la nascita di un’identità umana e sociale di un ragazzo boomer – borghese – che si cercava attraverso le sue esperienze di scrittura ed il suo essere in strada gaberianamente. Lavoro, sindacato, giovani: queste le sue specializzazioni sul campo a cui si aggiunse la sua militanza nei movimenti per l’informazione democratica.
Poi a partire da quel maledetto 1980 i suoi primi articoli sulla Camorra Torrese. Lì Giancarlo capì – nel microscosmo corallino – come una società civile e politica potesse inquinarsi e derubare le aspettative di vita e di futuro di tanti cittadini. L’io narrante del 26enne per sempre Giancarlo viene inframmezzato ed integrato dal coro greco di quanti gli sono stati vicini: il fratello Paolo Siani – da notare anche la testimonianza ex post del nipote Gianmario e del giornalista Vincenzo Sbrizzi – Tonino Palmese (Fondazione ‘Polis’), Armando d’Alterio (il magistrato che fece i processi che incastrarono la Cupola torrese), Geppino Fiorenza (presidente onorario della Fondazione omonima). Paolo Siani racconta invero come dopo gli anni ’80 anche la Scuola si aprì alla conoscenza del mondo del “l’abusivo” napoletano. Mentre Marco Risi ci racconta dal di dentro come ottenne il beneplacito da Paolo per girare il film e quante cose accaddero nella sua realizzazione sul campo. Nessun giornalista di quegli anni viene sentito da Nuzzo, o non è stato contattato? “Ho pensato di sentire – ci dice Nuzzo – un giornalista che opera oggi a Torre Annunziata”. Perché il docu ha chiaramente un intento rivolto alla memoria per le nuove generazioni. “Gianca’, ‘e notizie so’ rotture ‘e cazzo” (Fortapàsc)?”.
Vincenzo Aiello ilnapolista © riproduzione riservata