Napoli-Fiorentina 1-3 ricorda Napoli-Samp 1-4 che decretò la fine del ciclo di Maradona. Non siamo ancora a quei livelli ma non manca tanto
Napoli-Fiorentina 1-3. Stavolta finisce tra i fischi. L’8 ottobre 2023 rischia di passare alla storia del Napoli come il giorno dell’abdicazione. A quelli un po’ in là con gli anni ha ricordato Napoli-Sampdoria 1-4 (quella di Vialli e Mancini) della stagione 90-91, dopo il secondo scudetto. Quel giorno fu chiaro a tutti – anche agli ottimisti più ostinati – che il ciclo di Maradona era finito. È un concetto prematuro parlare di fine ciclo, lo ammettiamo, ma il campo ha parlato in maniera inequivocabile. La Fiorentina di Italiano ha impartito una lezione di calcio al Napoli di Garcia e solo una discreta dose di autolesionismo dei viola ha impedito che il punteggio fosse più largo e fatto sì che il match restasse in bilico più o meno fino all’ultimo. Fino al 3-1 di Gonzalez all’89esimo.
In campo si è vista da un lato una squadra organizzata, che sapeva perfettamente cosa fare, e dall’altro una formazione sfilacciata, incapace di trovare adeguate contromisure ma che poteva contare su qualità individuali superiori. Una sorta di Napoli-Real Madrid al contrario in cui è stato il Napoli a recitare il ruolo del Madrid. E infatti Osimhen (prima di essere sostituito) ha sfruttato uno dei pochissimi errori viola e si è conquistato e ha realizzato il rigore dell’1-1.
È stata la serata in cui è parsa evidente la differenza tra Italiano e Garcia. Italiano: uno dei tanti tecnici inutilmente corteggiati da De Laurentiis per sostituire Spalletti. Sia chiaro, qualsiasi critica al tecnico francese è comprensibile, per certi versi sacrosanta. Va anche ricordato che fin qui il francese è stato sempre graziato dall’ambiente: vuoi per la trovata dei saggi, vuoi per la frase sugli allenamenti per favorire le autoreti degli avversari. Quindi: accanitevi pure con Garcia ma l’invito del Napoli è a non dimenticare che Garcia è il dito ma la luna è Aurelio De Laurentiis. È la stagione della grande scommessa del presidente del Napoli che ha voluto in ogni modo sancire che lo scudetto è stato merito esclusivamente suo. E che se al posto di Spalletti e Giuntoli ci fossero stati zio Antonio e zio Peppino sarebbe stata la stessa cosa. Ecco, al momento possiamo affermare che questa scommessa è abbondantemente persa. Aggiungiamo che mai e poi mai ci saremmo aspettati che un uomo terreno come De Laurentiis, un grandissimo presidente quale lui è stato, finisse avvolto nelle spire della vanità. Men che meno che volesse diventare il viceré di Napoli. Eppure è accaduto e i risultati sono ahinoi sotto gli occhi di tutti.
Vogliamo criticare Garcia? Certo, ripetiamo, è lecito. Volendo, anche per il cambio Raspadori-Anguissa quando il camerunense nel primo tempo è dovuto uscire per infortunio muscolare. Ma – a parte i sempre più numerosi laudatores di Aurelio fu pappone – c’è qualcuno che esultò all’ingaggio del francese? Che è un onesto professionista, ci mancherebbe, con tanta esperienza (sempre un po’ misterioso) ma era anche finito ai margini del circuito. Non solo, ma alla base dell’ingaggio c’è stato anche un equivoco. De Laurentiis lo ha presentato come il sequel di Spalletti, il francese dal primo giorno ha detto a destra e a manca che non ci pensava nemmeno e che aveva altro in mente. Probabilmente non è stato supportato dal club in questa sua visione. E ci sembra evidente che tra lui e la squadra ci sia qualche non detto o qualche incomprensione, per usare un eufemismo.
La realtà ha mostrato ai più ostinati che non c’era stata alcuna rinascita nelle vittorie contro Udinese e Lecce dipinte prematuramente come Real Madrid e Manchester City, vittorie che avevano spinto anche autorevoli opinionisti come Antonio Polito a frettolosi elogi presidenziali.
È la serata che può preludere al cambio della guardia tra le squadre non del Nord: Commisso può festeggiare. È una brutta serata per il Napoli. De Laurentiis dovrà riunirsi in conclave con sé stesso e pensare cosa fare. C’è tutta una stagione davanti.