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Il Napoli di Garcia contro le piccole funziona

Ogni partita è una storia a sé. Una gestione più saggia delle energie attraverso possesso e gestione della palla potrebbero aiutare

Il Napoli di Garcia contro le piccole funziona
Db Verona 21/10/2023 - campionato di calcio serie A / Hellas Verona-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: gol Khvicha Kvaratskhelia

Le solite certezze

Il Napoli torna da Verona con un buon risultato e delle risposte discrete sul piano tecnico-tattico. Certo, questa analisi non può ignorare la consistenza tecnica e tattica dell’Hellas, anzi questo aspetto sarà centrale nella nostra disamina. Al tempo stesso, però, la situazione – a dir poco tesa – dentro e intorno alla squadra azzurra sconsiglia di fare gli schizzinosi. E allora, come ha scritto Massimiliano Gallo nel suo commento a caldo, guardiamo alla vittoria del Bentegodi per quello che è: un segnale non tanto di guarigione, quanto di convalescenza in atto. Anche perché, come vedremo, Garcia può ripartire da alcuni dati e da alcune note positive. A cominciare da Politano e Kvaratskhelia, passando poi per Cajuste e la buona prova di Meret.

Più che dei singoli, però, è giusto parlare del Napoli-squadra. E del fatto che la partita di Verona, in maniera simile a quanto successo contro Udinese e Lecce, sia stata vinta perché la differenza dei valori in campo era troppo elevata. Questo non vuol dire che Garcia non abbia alcun merito, che il Napoli non abbia offerto una buona prova tattica: ci sono stati degli spunti interessanti, e ovviamente ne parleremo. Al tempo stesso, però, dopo la partita del Bentegodi le certezze offerte dagli azzurri non sono diventate marcatamente più solide.

Anzi, sono le solite certezze, quelle di cui avevamo già contezza. Quelle per cui il Verona non può mettere in difficoltà un avversario come il Napoli, se non per qualche segmento di partita. Dal canto suo la squadra di Garcia, finora, è andata sempre in difficoltà contro avversari di media-buona qualità e/o molto organizzati dal punto di vista tattico. E anche a Verona ha mostrato, a un certo punto, di essere fragile in alcuni aspetti, al mutare di alcune condizioni.

Reagire bene

Cominciamo la nostra analisi dalle scelte di formazione. Il Napoli si è presentato a Verona con il solito 4-3-3/4-5-1, però in versione rivisitata causa assenze varie: Garcia ha scelto Mário Rui nello slot di terzino sinistro, Cajuste come mezzala al posto di Anguissa e Raspadori prima punta al posto di Osimhen; Rrahmani è tornato titolare e per la prima volta ha preso posto accanto a Natan. Di contro, Marco Baroni ha schierato il suo Verona con una sorta di 3-5-2/5-3-2 fluido che spesso si deformava in un 3-4-2-1: a orientare le spaziature sono stati i movimenti di Folorunsho, che poteva agire come mezzala ma anche come trequartista sulla stessa linea di Ngonge, alle spalle di Djuric.

In alto, vediamo il 4-3-3 puro del Napoli contro il 5-3-2 del Verona (con il quinto di destra che accorcia su Mário Rui). Sopra, invece, si vede il Verona che imposta a tre da dietro mentre Folorunsho (tutto spostato a sinistra, nell’inquadratura) va a supporto di Djuric: così i gialloblu passavano dal 3-5-2 al 3-4-3.

Nei primissimi istanti di partita, gli incastri e l’intensità del pressing praticato dal Verona hanno suggerito che il piano-gara Baroni fosse iper-aggressivo, fondato su marcature uomo su uomo a tutto campo. Così sono nate le prime occasioni della squadra di casa. Il Napoli, lo diciamo subito, ha reagito bene allo shock iniziale. Ha prima accettato l’alta intensità degli avversari, poi ha iniziato a muovere il pallone con maggiore ambizione e anche con maggior qualità. Sono serviti dieci minuti, agli azzurri, per capire come mandare a vuoto le marcature del Verona – che, va detto anche questo, con il passare dei minuti sono diventate meno aggressive.

Tra il 10′ e il 30′, il Napoli ha messo insieme 7 conclusioni verso la porta di Montipò. Di queste, 4 sono state scoccate al termine di azione manovrata e 3 sugli sviluppi di palla inattiva. Il gol di Politano non solo arriva al termine di una lunga manovra di accerchiamento, ma si determina a partire da quegli appunti tattici tattici a cui abbiamo accennato nei paragrafi precedenti:

Ora parleremo di questo gol in modo approfondito

Iniziamo dalla chiusura in scivolata di Cajuste, bella ed efficace. Passiamo poi per tanti altri micro-eventi: i molti uomini che si riversano nella metà campo del Verona, il primo cross di Mário Rui e la riaggressione alta, con i tempi giusti, di Rrahmani; a quel punto il Napoli si crea un’altra occasione per aggredire l’area, e poi c’è la grande intuizione di Raspadori, prima intelligentissimo a sostituirsi a Kvaratskhelia come esterno sinistro, poi bravissimo a nascondere il pallone al suo marcatore e a servire Politano con un cross delizioso. Da notare anche la presenza di Di Lorenzo in area di rigore, per fare densità in mancanza di Raspadori.

Senza Osimhen

Questo gol offre diversi spunti tattici. Intanto, come detto, bisogna partire necessariamente dal tackle di Cajuste sulla trequarti campo, che determina una buona ripartenza in campo aperto. Non è stato un caso: il centrocampista svedese, in tutta la partita di ieri, ha messo insieme 4 contrasti vinti (record in campo, anche se condiviso con Lobotka), 2 palloni spazzati e 25 passaggi in avanti riusciti, seconda quota del Napoli dopo Politano (27). Un altro aspetto importante sta nell’intervento difensivo ma anche di impostazione eseguito da Rrahmani: il difensore kosovaro, dopo il primo cross risputato fuori dal Verona, chiude preventivamente sulla ripartenza avversaria e alimenta l’azione offensiva della sua squadra. Questa giocata si è determinata grazie al baricentro altissimo tenuto dal Napoli nel primo tempo: gli azzurri si sono posizionati addirittura a 61 metri, molto al di qua della metà campo offensiva. Basta guardare l’immagine di sotto per farsi un’idea:

Diapositiva di difesa alta

E poi, in ultimo ma solo in ordine temporale, ci sono da sottolineare il movimento di Raspadori e il suo assist perfetto per Politano. Ecco, qui si potrebbe aprire una discussione filosofica e pure un po’ provocatoria sul Napoli-senza-Osimhen, un’entità metafisica che però a Verona si è manifestata nella realtà, vista l’assenza del centravanti nigeriano. Il punto è che un’azione del genere, con Osimhen, non sarebbe stata possibile: il capocannoniere dell’ultimo campionato, infatti, ha caratteristiche diverse, sarebbe rimasto a riempire l’area di rigore, ad aspettare il cross; magari avrebbe anche potuto proporsi a sinistra per ricevere e proteggere la palla, ma difficilmente avrebbe messo al centro un cross morbido e preciso come quello di Raspadori.

Insomma, il Napoli-con-Osimhen è una squadra che attacca in modo diverso rispetto a quello che si è visto in occasione del gol di Politano. Soprattutto quando parliamo di attacchi posizionali, di azioni di possesso e di accerchiamento nella metà campo avversaria. Attenzione: non intendiamo – né lo pensiamo a livello inconscio – che attacchi meglio peggio, ma semplicemente lo fa in modo diverso. Perché Osimhen è un grandissimo centravanti, con tutta probabilità il migliore della Serie A, solo che però in certi momenti risulta più facile da leggere, per i difensori avversari. Soprattutto se paragonato a una prima punta atipica, mobile, sgusciante, dal baricentro basso, come Giacomo Raspadori.

Tutti i 32 palloni giocati da Giacomo Raspadori durante la partita contro il Verona

Un’altra evidenza tattica interessante mostrata dal Napoli nel match di Verona riguarda la buona fluidità posizionale dei centrocampisti e degli attaccanti. Se in fase di primissima impostazione è stato soprattutto Lobotka ad abbassarsi in mezzo ai centrali, così come piace a Garcia, in seguito abbiamo visto diverse sovrapposizioni interne ed esterne da parte di Zielinski, Kvaratskhelia, Raspadori. Politano e Cajuste, invece, hanno giocato in modo più lineare, e infatti le rilevazioni di Whoscored a fine partita hanno evidenziato la preferenza del Napoli a creare gioco proprio sulla fascia destra (il 42% delle azioni sono nate da quella parte).

Due frame di un’azione costruita sulla destra, con Kvara, Di Lorenzo, Lobotka e Cajuste tutti da quel lato. Politano è largo a destra, Raspadori ha preso il posto di Kvara come esterno sinistro.

Dopo il gol, il Napoli di Garcia (in tutti i sensi)

Il Verona, dopo essere passato in svantaggio, è come se si fosse sfaldato. E non solo perché Cajuste, quando è passato un solo minuto dall’esultanza per la rete di Politano, avrebbe potuto raddoppiare subito: la squadra di Baroni ha provato a raddrizzare la partita alzando di nuovo l’intensità del pressing e, soprattutto, portando molti uomini nella metà campo avversaria. Ed è in quei momenti che si è visto il Napoli che vorrebbe sempre Garcia, vale a dire una squadra che si difende rimanendo compatta e che poi si scatena in ripartenza.

Entrambi i gol di Kvaratskhelia sono arrivati esattamente in questo modo: il Verona era sbilanciatissimo in avanti, ha cercato di forzare la difesa del Napoli con un cross e quel pallone è stato respinto in modo pulito dai difensori azzurri. Abbiamo scelto di farvi vedere la seconda delle due reti di Kvara, semplicemente perché nel frattempo Baroni aveva anche cercato di trasformare la sua squadra attraverso i cambi: con Terracciano, Bonazzoli e Lazovic (al posto di Amione, Ngonge e Serdar), il Verona è passato a una sorta di 3-4-2-1 ancora più offensivo, considerando che Terracciano agiva praticamente come terzino aggiunto, mentre Folorunsho era retrocesso a centrocampo per permettere a Lazovic e Bonazzoli di sostenere Djuric.

Bellissima la sterzata finale dopo aver rallentato

In realtà, al netto di questo gol, le sostituzioni di Baroni hanno sortito un effetto sulla partita. Nel senso che, dopo lo 0-3, il Napoli di Garcia ha mostrato anche i suoi lati meno apprezzabili. A dirlo, come al solito, sono i numeri: dal minuto 55 in poi, la gara di Verona si è trasformata in una sorta di partita di tennis o ping pong, nel senso che le due squadre hanno costruito un’azione pericolosa a testa, come se fosse un gioco di rimbalzi. E infatti i tiri totali di quel segmento di partita dicono 11-8 in favore dell’Hellas, nonostante un possesso palla ancora favorevole al Napoli (57%-43%). E ancora: sempre considerando gli ultimi 40′ di gioco, il Verona ha messo insieme 12 dribbling riusciti (contro i 3 del Napoli) e 7 duelli aerei vinti (contro i 2 del Napoli).

Insomma, la squadra di Garcia ha perso il controllo della gara, e così abbiamo assistito a una sorta di giostra medievale in cui è stato decisivo Meret: 5 parate decisive su altrettanti tiri in porta dell’Hellas, di cui 4 arrivati al termine di un’azione manovrata. Il problema del Napoli, come al solito in questa stagione, si è manifestato nel momento in cui la squadra avversaria ha trovato un sistema per eludere la pressione in modo organizzato, sistemico e quindi sistematico. Nel caso specifico, si è trattato dei palloni imbucati tra le linee, o anche di quelli lunghi, addomesticati da Milan Djuric:

A volte bastano un lancio e una buona imbucata tra le linee

Come si vede chiaramente in questi due video, bastano poche mosse al Verona per dare scacco matto al dispositivo difensivo del Napoli. Probabilmente queste azioni non avrebbero avuto lo stesso esito nel primo tempo, quando la squadra di Garcia ha dato l’impressione di essere atleticamente in palla e anche concentrata, quindi in grado di coprire bene gli spazi. Poi, però, l’aumento della stanchezza e la crescita del Verona hanno determinato un cambiamento. Un peggioramento della prestazione degli azzurri.

In realtà i giocatori di Garcia hanno anche creato diverse occasioni per chiudere (di nuovo) la gara dopo la rete di Lazovic, solo che non le hanno sfruttate. A pensarci bene, però, il punto è proprio questo: contro quanti – e quali – altri avversari il Napoli può permettersi dei cali di questo tipo? Una squadra più forte e con maggiore esperienza rispetto al Verona avrebbe incassato tre gol prima di arrivare al punto in cui il Napoli ha iniziato a perdere le distanze?

Garcia ha provato a fare ordine con una sostituzione piuttosto creativa (Zanoli per Mário Rui, con Di Lorenzo spostato a sinistra) e con gli ingressi di Simeone, Lindstrom, Gaetano e Zerbin. Tutti questi cambi non hanno reso meno caotico il finale: anzi, proprio Lindstrom è sembrato discretamente a suo agio – al netto dell’ammonizione per fallo tattico che gli è stata comminata dopo pochi secondi in campo – negli spazi larghi che si sono aperti durante il forcing finale del Verona. Che, a onor del vero, ha perso di grip quando la squadra di Baroni ha terminato la riserva di energie: dopo il minuto 82′, l’unica conclusione davvero pericolosa è stata tentata da Faraoni. Al 90esimo, da fuori area. Ed è finita a lato.

Garcia, Kvara, Politano

Garcia ha risolto la pratica-Verona – e probabilmente ha salvato la sua panchina – in modo lineare. Senza strafare. Ha chiaramente lavorato sui giochi in uscita dalla difesa attraverso la fluidità dei centrocampisti e degli attaccanti, e in questo contesto si è giovato della maggiore varietà tattica di Raspadori rispetto al set di movimenti di Osimhen. A ben guardare, se escludiamo i punti relativi a Raspadori, sono i cardini su cui il tecnico francese ha costruito le vittorie contro Udinese e Lecce, ma anche quelle in avvio di stagione contro Frosinone e Sassuolo.

Quando stanno bene fisicamente, e sono anche ispirati, Kvara e Politano sono i giocatori che rendono di più nel sistema di Garcia. Il punto è che però questo sistema, fino a oggi, è risultato efficace solo contro avversari nettamente inferiori al Napoli. Il Verona, come detto in apertura e come sottolineato più volte tra le righe di questa analisi, non può rappresentare un test probante, in questo senso.

Conclusioni

E allora forse bisogna rassegnarsi, in qualche modo: il Napoli è destinato a vivere l’intera stagione in quello che è una specie di regno del caos e dell’incertezza, un luogo della psiche in cui ogni partita è – e quindi ha – una storia a sé, in cui il caso viene gestito, o anche semplicemente orientato, solo al verificarsi di certe condizioni. A meno che Garcia non trovi il modo per rendere più solido e sicuro il suo modello, passando magari per una gestione più saggia delle energie e attraverso lo studio di meccanismi di possesso e gestione della palla che vadano proprio in quella direzione.

Per dirla brevemente: il Napoli di Garcia, al suo quarto mese di vita, gioca bene solo quando sta bene. Quando sta bene con se stesso e nei confronti dell’avversario di turno. Contro il Verona – e squadre di valore simile – è una condizione che si verifica per un tempo sufficiente a vincere la partita. Lo stesso tempo che non è bastato, finora, contro avversari più forti. Contro Union Berlin e Milan, soprattutto, potremo verificare se qualcosa è cambiato, in questo senso.

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