Superato il nulla tattico di Garcia, Mazzarri ha dimostrato in pochi giorni a cosa può servire avere un allenatore
L’impatto di Walter Mazzarri
Sarebbe esagerato – per non dire ingenuo – pensare che Walter Mazzarri, in poco più di tre o quattro giorni di lavoro con tutta la rosa del Napoli, abbia avuto un impatto significativo sulla squadra azzurra. Allo stesso tempo, però, si deve tener conto di un aspetto importante: rispetto al nulla tattico elaborato e proposto da Garcia nei suoi cinque mesi a Napoli, sarebbe bastato lavorare su pochi concetti, anche elementari, per dare l’impressione che il Napoli fosse più squadra.
Ecco, negli ultimi giorni è andata esattamente così. Ce ne siamo accorti a Bergamo, dove il nuovo Napoli di Mazzarri ha mostrato un gioco appena più sofisticato – tra poco vedremo in che modo – e ha vinto la partita. Non l’ha dominata, questo va detto. Non tutta, almeno. Ma nel calcio si gioca in 22 uomini, divisi in due squadre. Questo per ricordare che ci sono anche gli avversari. A volte sono anche forti, come l’Atalanta.
Insomma, Mazzarri ha (già) dimostrato a cosa può servire lavorare davvero sulla tattica. Oppure, per dire le cose in modo più pungente ma anche più vero: Mazzarri ha (già) dimostrato a cosa può servire avere un allenatore. Nel suo caso, che poi è il caso del Napoli, non si tratta nemmeno (o ancora?) di un allenatore che propone un calcio particolarmente ricercato o visionario. Il punto, però, è che il Napoli ha dei calciatori fortissimi per il contesto della Serie A. Solo che devono essere messi nelle condizioni di esprimersi. Devono avere dei riferimenti. Delle idee-guida cui aggrapparsi. A Mazzarri è bastato svilupparne un paio per cambiare le percezioni di tutti. Dei giocatori rispetto al loro allenatore, di chi guarda le partite rispetto ai giocatori. Non sarà un grande impatto, non può esserlo. Ma dopo una partita è già qualcosa. Forse è anche tanto.
Un nuovo 4-3-3
Tutto parte (o meglio: riparte ancora) dal 4-3-3. Tra l’altro, Mazzarri ha scelto gli stessi identici uomini che Garcia riteneva e schierava titolari, ovviamente al netto delle assenze. E quindi Di Lorenzo-Rrahmani-Natan-Olivera in difesa, Lobotka-Anguissa-Zielinski a centrocampo, Kvara-Politano-Raspadori in avanti. E Gollini in porta, per via dell’indisponibilità di Meret. Anche Gasperini è andato sul classico, sul sicuro: 3-4-1-2 con Pasalic schierato alle spalle di De Ketelaere e Lookman. E, soprattutto, marcature uomo su uomo per asfissiare la costruzione dal basso della squadra avversaria – un trattamento che l’Atalanta riserva a tutte le squadre avversarie.
Marcature a uomo, ma anche a tutto campo
È un gioco di incastri, nel senso che il sistema di gioco di Gasperini sembra fatto apposta per sovrapporsi perfettamente a quello del Napoli: i tre difensori centrali si accoppiano con i tre attaccanti; gli esterni a tutta fascia seguono i terzini; i tre di centrocampo guardano a vista i loro dirimpettai; i due attaccanti pressano sui centrali. In una condizione del genere, le marcature possono essere – e vengono – esasperate a tutto campo. Guardate, nel frame di sopra, l’aggressività di Scalvini (in basso a sinistra nell’immagine) che segue Kvara fin dentro la metà campo avversaria.
Insomma, l’Atalanta di Gasperini non era e non è la miglior squadra da cui far partire un nuovo ciclo tattico: pensa e si muove per soffocare le idee dei suoi avversari, prova ad annerirle, quasi sempre riesce almeno a offuscarle. Con la forza fisica, con l’applicazione difensiva, insistendo sui contatti tra i calciatori in campo. Eppure, nonostante tutto, il 4-3-3 di Mazzarri ha fatto intravedere delle cose interessanti. Soprattutto nel primo tempo. A cominciare, per esempio, dall’atteggiamento difensivo, a sua volta determinato dal posizionamento in campo: il Napoli ha tenuto un baricentro altissimo (a 55 metri, nei primi 45′) e ha sempre difeso in avanti, accorciando il campo, cercando l’anticipo e soprattutto l’aggressione alta nel momento in cui il giropalla dell’Atalanta risultava lento o privo di sbocchi.
Un’azione che sembra marginale, ma non lo è
Nel video di sopra, c’è quello di cui abbiamo parlato. Su un rilancio impreciso di Gollini, l’Atalanta inizia a tessere la sua tela, solo che Zappacosta fa un passaggio abbastanza timido verso Djimsiti. A quel punto il Napoli sale di intensità nel pressing, e lo fa in modo immediato. Si può dire automatico, non sarebbe un errore. A guidare l’assalto è Lobotka, pochi istanti dopo ci sono sei calciatori in maglia bianca nella trequarti della squadra di Gasperini. Anche la difesa ha accompagnato, infatti la palla sfila fino a centrocampo ed è lì che troviamo Rrahmani e Olivera. Non Natan, che era addirittura andato a rompere la linea per seguire da vicino De Ketelaere, rendendo ancora più intenso il tentativo di riconquista.
Per chi volesse approfondire, il passaggio non proprio perfetto di Zappacosta è un cosiddetto trigger del pressing. Si tratta di situazioni di gioco – un appoggio come quello di Zappacosta, ma anche un controllo fuori misura, una postura errata, un dribbling in una zona rischiosa – che, letteralmente, danno il segnale perché una squadra aggredisca in modo feroce i suoi avversari. Ecco, Mazzarri ha chiaramente lavorato su questo aspetto. Sul (ri)dare alla squadra dei riferimenti con cui scandire la pressione in fase di non possesso. Qui sotto, per esempio, vediamo due frame: il primo immortala il momento in cui Pasalic sta per servire Éderson con un retropassaggio a dir poco rischioso; il secondo, pochi istanti dopo, vede due giocatori del Napoli dentro l’area di rigore dell’Atalanta per fare pressing, con un terzo a pochi metri.
Dopo questa pressione alta, il Napoli avrà tre occasioni da gol nitide, con Zielinski, Politano e Raspadori
È così che un 4-3-3 si differenzia da un altro, è così che un 4-3-3 può sembrare nuovo anche se vengono schierati gli stessi giocatori. Il Napoli visto a Bergamo, parliamo di quello del primo tempo, è riuscito a proporre il tipo di calcio che abbiamo descritto sopra. E l’ha fatto in modo continuo ed efficace. A dirlo sono i numeri: possesso palla al 64% in favore degli azzurri, 8 tiri a 4 sempre in favore della squadra di Mazzarri, 2 soli tiri in porta concessi all’Atalanta, di cui uno solo su azione – per altro a un soffio dall’intervallo.
Il gol di Kvara
Il calcio contemporaneo è un gioco/sport sequenziale e anche consequenziale. Nel senso che una squadra del 2023 non può difendere bene se non sa cosa fare con la palla. E viceversa. Visto che, come abbiamo raccontato finora, il Napoli del primo tempo è riuscito a tenere il campo in modo autoritario e soprattutto ambizioso, a difendere in avanti, lasciando molto campo tra i centrali e il portiere, anche le azioni offensive costruite dagli azzurri sono state pericolose. Non tutte, ovviamente. Ma soprattutto quelle nate a partire dai giochi che potessero mettere in difficoltà il sistema dell’Atalanta. È così che è nato il gol di Kvaratskhelia:
Un’azione lunga, che si decide in un momento
Il momento che cambia questa azione, che la rende più pericolosa rispetto a un normale possesso palla organizzato dal basso, sta nel gioco a tre tra Di Lorenzo, Anguissa e Politano: il movimento a fionda dell’esterno del Napoli, con conseguente lancio lungo di prima in verticale verso Raspadori, manda letteralmente in tilt il sistema di marcature dei giocatori dell’Atalanta. Che dopo quel lancio, basta riguardare il video, fanno una fatica tremenda a riaccorciare il campo e a ritrovare i loro riferimenti. A quel punto, al Napoli bastano un ulteriore giropalla sulla destra e un semplice inserimento di Kvara a centro area per trovare il vantaggio.
Il punto, però, sta nell’attimo in cui tutto prende velocità e sostanza. Vale a dire, lo ripetiamo, nel lancio in verticale di Politano. Un’azione già vista centinaia e centinaia di volte un anno fa, con Politano nel ruolo di Politano e Osimhen in quello di Raspadori. Ecco, quella dinamica è stata riprodotta. Non una volta, ma diverse volte: nel primo tempo di Atalanta-Napoli, la squadra di Mazzarri ha tentato il lancio lungo per 37 volte contro le 22 dei nerazzurri; 3 di questi lanci li ha tentati Politano, altri 3 sono arrivati dai piedi di Kvaratskhelia.
Come dire: tutto questo non è un caso. Mazzarri ha lavorato su questo meccanismo di gioco e ha mostrato subito il suo lavoro in partita. Non sempre in modo preciso e pulito, visto che molti dei lanci di cui abbiamo parlato non hanno generato occasioni da gol. Ma l’atteggiamento proattivo e l’efficacia in fase difensiva hanno dato solidità alla prestazione degli azzurri, in attesa che arrivasse il gol. All’intervallo, quindi, il risultato di 0-1 era pienamente meritato.
La crescita dell’Atalanta
La ripresa è iniziata in modo diverso. L’abbiamo preannunciato prima, tra le righe: l’Atalanta è una squadra che sa soffocare i suoi avversari con la fisicità e che ha dei valori importanti, per di più esaltati nel sistema di Gasperini. Nel secondo tempo, quantomeno all’inizio, tutto questo è venuto fuori in modo netto, anzi travolgente. Nel senso che il Napoli si è fatto travolgere: prima fisicamente, poi – a cascata – tatticamente. Basti vedere quanto spazio e quindi quanto tempo ha Hateboer, in occasione del gol di Lookman, per calibrare il suo cross verso il centro dell’area di rigore degli azzurri. Area in cui, tra l’altro, c’erano tre giocatori dell’Atalanta pronti ad attaccare la porta.
Juan Jesus è lontanissimo da Hateboer
Questo scompenso è legato a ciò di cui abbiamo parlato prima: l’Atalanta, all’inizio del secondo tempo, ha mostrato di avere più energie del Napoli e lo ha letteralmente travolto. Al punto che è bastata una semplice imbucata verso De Ketelaere per mandare in tilt il consueto tentativo di anticipo da parte della difesa azzurra. Nel frame sopra Juan Jesus, ovviamente, non è impazzito: difende così lontano da Hateboer perché è stato lui a uscire su De Ketelaere, e non Natan. Di conseguenza, non ha fatto in tempo – è stato anche abbastanza lento, avrebbe potuto essere più scattante – a riprendere la sua posizione.
La superiorità fisica e – conseguentemente – tattica e tecnica della squadra di Gasperini si è manifestata fino al minuto 60. Ovvero, fino a quando Mazzarri non ha fatto entrare Osimhen (ed Elmas) al posto di Raspadori (e Politano). In quel preciso istante, la partita è cambiata di nuovo: il Napoli si è un po’ allungato in campo (i 28 metri di lunghezza media del primo sono diventati 38 nella ripresa), ha ricominciato ad alzare il baricentro e ha letteralmente ricacciato indietro l’Atalanta. In questo contro-ribaltamento dell’inerzia della gara, Osimhen è stato fondamentale: ha fatto reparto da solo, come si dice in gergo, tenendo più bassi e sempre in tensione i centrali avversari; ha permesso al Napoli di rifugiarsi di nuovo nel lancio lungo (nella ripresa gli azzurri ne hanno tentati 28, l’Atalanta 24) dopo aver attirato la pressione degli avversari.
Certo, rispetto al primo tempo la ripresa è stata più equilibrata. Anzi, forse l’Atalanta avrebbe meritato qualcosa in più. Anche in questo caso ci sono i numeri, a raccontarlo: i tiri non respinti dei nerazzurri sono stati 6, contro i 2 del Napoli; la squadra di Gasperini ha tenuto di più il possesso (53%) e ha anche effettuato più dribbling (7-3) rispetto a quella di Mazzarri. Al tempo stesso, però, va anche detto che le 3 conclusioni nello specchio dei nerazzurre sono state scoccate tutte prima del minuto 70, e che gli altri 3 tiri non respinti sono stati tentati da fuori area. Insomma, la sofferenza del Napoli è stata più percettiva che sostanziale. Prima e anche dopo questo gol:
Tutto di prima
Ora è chiaro che quella di Elmas debba essere considerata una marcatura fortunata. Ma è vero pure che il retropassaggio verso Carnesecchi, un attimo prima del rilancio sballato del portiere dell’Atalanta, debba essere considerato un (altro) trigger che ha attivato il pressing del Napoli. Basta notare l’aggressività di Osimhen che accorcia subito verso Carnesecchi, e che ci sono cinque giocatori in maglia bianca nella trequarti campo dell’Atalanta. Al minuto 79. Non è da tutti. È l’atteggiamento di una squadra coraggiosa. Che ha lavorato su quell’aspetto del loro gioco. Che aveva la volontà di proporre qualcosa.
Conclusioni
Come se questa analisi fosse un rondò, torniamo esattamente al punto di partenza. Ovvero, alla volontà di proporre qualcosa che vada oltre il nulla tattico offerto finora dal Napoli. A Mazzarri sono bastati pochi giorni di lavoro per ideare e (iniziare a) costruire un 4-3-3 che dia dei riferimenti alla sua squadra. Stiamo parlando del baricentro alto, di un pressing con adeguate coperture preventive, di meccanismi offensivi piuttosto semplici, come può esserlo un lancio in verticale, solo però inseriti in un contesto. Perché anche il Napoli di Garcia cercava il lancio verso Osimhen o verso chi lo sostituiva, ma lo faceva senza creare le condizioni perché quel lancio potesse essere davvero pericoloso – per esempio lasciando e poi aggredendo lo spazio vuoto in cui far scattare il centravanti, magari utilizzando un triangolo di possesso, una scalata combinata.
Il Napoli visto a Bergamo è una squadra lontana dall’idea che avevamo – che ci era rimasta – di Mazzarri. Dal punto di vista tattico, ha una struttura più vicina a quella di Spalletti, e non solo per il modulo di gioco differente: l’atteggiamento difensivo e i meccanismi di base in attacco hanno delle chiare connessioni con il passato recente, e non con il primo ciclo del tecnico toscano, quello degli anni tra il 2010 e il 2013.
È chiaro che ci vorranno degli stress test più accurati, magari contro difese diverse da quella dell’Atalanta, cioè meno propense a lasciare spazio tra i giocatori pur di esasperare le marcature a uomo, per verificare la tenuta del nuovo Napoli. Da questo punto di vista, però, le sfide contro Real Madrid, Inter e Juventus – tre squadre diversissime tra loro, ma tutte molto forti – potranno dare subito delle risposte significative. Il fatto di poterle affrontare con un certo entusiasmo, con la speranza di poter vedere un Napoli quantomeno organizzato e quadrato, è già una grande conquista rispetto a due settimane fa.