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“Comandante” è un film di passione speranzosa

In questo tempo di capitalistico homo homini lupus. La storia vera del comandante Todaro e del sommergibile Cappellini

“Comandante” è un film di passione speranzosa

Si esce dalla visione del film “Comandante” del regista napoletano Edoardo De Angelis – con la co-sceneggiatura di Sandro Veronesi – con un sentimento di passione speranzosa, in questo tempo di capitalistico homo homini lupus. Il film come è noto è tratto da una storia vera ed è chiaro che oltre alla vicenda narrata abbia anche una connotazione di politica civile.

25 settembre 1940, il sommergibile italiano “Cappellini” va alla guerra. Il comandante Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino) ha deciso di reimbarcarsi anche se è invalido di guerra e deve lasciare la moglie Rina (Silvia D’Amico) incinta della sua prima figlia Grazia Marina. La missione è sintetizzata dal termine “Agguato” ed il campo di gara – dopo avere passato le Colonne d’Ercole (Gibilterra) – è fare i guastatori nell’Atlantico. Sul “battello” una ciurma di napoletani – il cuoco Gigino (Giuseppe Brunetti) e Vincenzo Stumpo (Gianluca Di Gennaro). un cercatore di corallo -, siciliani, veneti, livornesi, etc… che pur provenendo da koinè culturali diverse formano quel corpo misterioso che si chiama Italia.

Todaro con il suo attendente Marcon (Massimiliano Rossi) ripete il miele del dialetto materno veneto – in realtà il Todaro storico era messinese di nascita: ndr – per sentirsi a casa e non credere di essere dei “mona”, mentre una misteriosa genealogia dell’Iliade lo interroga, lui indovino novello Sisifo. In pieno Atlantico accade però di dovere affondare il mercantile belga “Kabalo” che trasportava aerei inglesi (allora il Belgio era in procinto di passare con gli Alleati dopo un periodo di neutralità). I naufraghi, quindi, vengono aiutati dagli uomini del “Cappellini” e instradati verso la terraferma con una decisione contraria ad ogni logica bellicistica.

Todaro emerge in tutta la sua identità di fiero militare in battaglia ma di uomo di mare con dimentico di essere un uomo. Ecco spiegata l’identità nazionale di un manipolo di gente diversa: essere italiani significa per la lezione dei tanti Todaro del nostro Paese fare entrare nella piatta monomania della guerra la misericordia di riconoscersi come appartenenti alla stessa razza: quella umana. Sperando che non si avveri il monito del cannoniere morente Danilo Stiepovich (Arturo Muselli) che sentenzia, “è una guerra di macchine signore! Anche la pace sarà un tempo di macchine che arriveranno a pensare ed a vivere al nostro posto. E forse faranno meglio di noi umani…”.

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