Una volta si facevano in primavera, magari per lo scudetto. Stavolta è più per la sopravvivenza, i tempi cambiano
Ne hanno fatto un altro. Anche se siamo ancora a novembre, e di solito i “patti” del Napoli sbocciano con la primavera. Il suddetto patto sarebbe “scudetto” per consuetudine, ne va della stagionalità. Stavolta, sarà la mestizia dei risultati altalenanti, sarà la festa dei morti aderente al clima, la squadra s’è riunita ad Halloween. Non tanto per vincere qualcosa nell’immediato. Si tratta di pre-patto: vediamo di arrivarci sani in primavera, ecco.
Le cronache – rilette da chi ne sa per tradurle in patto – narrano d’una festa in maschera. Lunedì sera, in un locale di Chiaia. Giocatori, quasi tutti, e compagne. Il racconto susseguente è retorica d’alto artigianato, con la “compattezza”, il morale “idilliaco, l’argine ai “pettegolezzi antipatici”. C’è gente che fomenta il malumore vociferando di “vita notturna” di sti poveri ragazzi? E allora rispondiamo con una festa, colpo su colpo. Facciamo… un “patto”.
E’ una performance che assorbiamo per assuefazione, ne teniamo in conto la ritualità, è un fatto inevitabile della quotidiana stagione d’un Napoli qualunque. Il patto funziona come preventivo, senza non può esserci scudetto, o come in questo caso resistenza. È una notizia precotta, ma sempre buona su tutto. Tenuta in pagina come un piccolo scoop, un’indiscrezione raccolta sul campo da chissà quale cameriere dalle orecchie acrobatiche.
Pensate: lunedì Garcia ha anticipato l’allenamento al mattino, e quelli manco si sono lamentati. Si sono svegliati e sono andati a lavorare. Segnali inequivocabili. Il “gruppo c’è”, come usa dire in questi casi. Stavolta però niente cena al Vomero, ma una festa per sancire il vincolo irrevocabile alla fermezza d’intenti. Fior fior di professionisti a contratto che sentono l’urgenza di un ulteriore incentivo a fare il proprio dovere. Le pacche sulle spalle al terzo calice di vino, l’arringa dell’allenatore, del presidente, di altra figura istituzionale che gli sbatta l’obiettivo. C’è tutta una letteratura apposita. E i giornalisti embedded che volteggiano sulla scena dai tavoli affianco, a prendere appunti, fare foto, raccogliere prove. Ma soprattutto a dare un tono a quel raduno, a presentarcelo come “patto”. Magari era solo una festa, no? NO.
Il patto a Napoli scandisce il tempo come le maglie situazionali, a novembre c’è quella con le capuzzelle, a San Valentino quella con i baci. E’ un pastore vip di Di Virgilio, lo detta l’attualità. Può essere patto Europa League, patto Champions, o patto salvezza. Nel caso di specie è un patto generico, meno impegnativo, più casual. Con le maschere di Halloween a coprire gli “occhi della tigre” da cerimoniale. Vale lo stesso, sia chiaro. E’ novembre appena, ma se ne sentiva evidentemente il bisogno.