Né carne né pesce. Da quando c’è Garcia in panchina, il Napoli non trasmette nulla. Non è più un brand calcistico dal profilo definito
Il problema del Napoli non è il gol in contropiede
È doveroso, nello spirito che contraddistingue questo spazio di analisi sul Napolista, partire da un dato. L’Union Berlin, ieri, ha accumulato più tiri in porta (6) rispetto al Napoli (4). E da questo conto è esclusa la punizione calciata da Juranovic e finita sul palo nel recupero del primo tempo. Certi dati dicono tanto, se non tutto, sui problemi della squadra di Garcia. Che, come ha scritto giustamente Massimiliano Gallo nel suo commento postpartita, ha commesso l’errore capitale di incassare un gol sanguinoso: era in vantaggio di un gol, stava attaccando per segnare il secondo e ha concesso un contropiede due contro uno. E i due erano attaccanti veloci come Becker e Fofana.
Ma il punto non può essere questo. Basta tornare per un attimo al dato dei tiri in porta: se l’avversario di giornata è l’Union Berlin, certi dati sono giustificabili solo se il Napoli riesce a vincere la partita. Anche immeritatamente. A quel punto, solo a quel punto, Garcia può aver ragione. Quando non ci riesce, però, il tecnico francese perde qualsiasi ombrello, cioè qualsiasi giustificazione. Resta la pioggia. Resta, cioè, l’analisi tattica: che parte, per l’appunto, dai dati. E l’analisi tattica è impietosa, per il Napoli di Garcia.
Il problema di questa squadra, molto semplicemente, è che deve andare sempre a mille per poter (sperare di) far male ai suoi avversari. Per creare occasioni da gol nitide. Basta tornare di nuovo ai numeri di cui sopra, però guardandoli da un’altra angolazione: quella relativa al tempo. Al di là del palo di Natan (minuto 23) e del gol di Politano (minuto 39), quante altre conclusioni davvero pericolose ha costruito il Napoli? Vi aiutiamo: quella di Zielinski al minuto 16, parata dal portiere; se volete, quella di Kvaratskhelia al 95esimo. Stop, basta così: Rannow non ha dovuto compiere altri interventi. Tra i tiri finiti fuori (9) o respinti (13), possiamo andare a ripescarne un altro di Zielinski e uno di Politano, entrambi al minuto 51′. Un attimo prima del gol di Fofana.
Senza schemi
Torniamo a questa frase già scritta: il problema del Napoli, molto semplicemente, è che deve andare sempre a mille per poter (sperare di) far male ai suoi avversari. Questa condizione dipende dal fatto che quella di Garcia è una squadra totalmente priva di schemi predefiniti, che sia in fase di costruzione e/o d’attacco. Quello che il Napoli fa palla al piede è improvvisazione allo stato puro, dipende e discende unicamente dall’ispirazione e dalle scelte individuali dei calciatori. Calciatori che, vista la presenza di avversari messi lì apposta per provare a difendersi, devono accelerare – che non vuol dire solo alzare il ritmo, ma anche le qualità delle giocate – per poter creare delle palle gol nitide.
Rileggiamo un attimo i dati di sopra: le occasioni davvero pericolose del Napoli, gol annullato compreso, si concentrano tutte tra il minuto 23′ – il palo di Natan – e il minuto 51′. Sono 28 minuti di cronometro, pari – se va bene – a 14 minuti di tempo effettivo. Ecco perché possiamo dire che il Napoli diventa una squadra pericolosa solo se accelera: 14 minuti di buona prestazione offensiva sono troppo pochi, nell’arco di una partita contro l’Union Berlin. Ma il punto non è neanche questo: contro l’Union Berlin, il Napoli non dovrebbe aver bisogno di accelerare per creare occasioni da gol. Oppure, se è una squadra difensiva, non deve concedere nulla ad avversari di qualità così inferiore. Soprattutto un gol in contropiede quando è in vantaggio.
Dal punto di vista squisitamente tattico, non c’è molto altro da dire sulla gara di ieri. Anche perché in realtà si finirebbe a parlare di individualità: Politano e Kvaratskhelia, per accumulo di tocchi e di dribbling tentati (8 Kvara, 4 Politano), sono stati gli unici a creare situazioni pericolose. L’unico meccanismo visibile, come già altre volte in questa stagione, è stata la salida lavolpiana di Lobotla in mezzo ai due centrali, che determina la costruzione a tre. I terzini si alzano, qualche volta si sovrappongono all’interno e qualche altra all’esterno. Basta così.
Nel frame in alto, Lobotka si abbassa alla sinistra di Natan per impostare; sopra, invece, il centromediano slovacco prende posto in mezzo ai due centrali.
Agli avversari, in condizioni del genere, basta fare densità al centro per limitare i danni: la palla, infatti, arriva sulla fascia – laddove la linea laterale comprime gli spazi, è inevitabile – e l’azione si depotenzia. A meno che Kvara e Politano non si inventino qualcosa. I dati, da questo punto di vista, sono inquietanti: il Napoli ha costruito solo il 24% delle sue azioni passando per il corridoio centrale; del 76% che resta, addirittura il 45% delle manovre azzurre è nato sulla destra. Dalla parte di Politano e Di Lorenzo. Il capitano, contro l’Union Berlin, ha toccato 128 volte la palla. Va bene che stiamo parlando di un terzino bravo a fare regia, ma c’è un limite a tutto. Dovrebbe esserci, quantomeno.
Il rischio del calcio scheletrico
Persino il gol di Politano è arrivato in modo caotico, confusionario. O meglio: il Napoli ha attaccato con molti uomini l’area di rigore, la palla è arrivata al centro con una traiettoria tesa ed è stata deviata – non possiamo dire fortuitamente, ma di certo non è stata una conclusione pulita – da Politano. La squadra azzurra era all’apice del suo segmento di partita ad alta intensità, ha anche meritato il vantaggio; in quel frangente i tre centrocampisti stavano ruotando in modo convincente, Zielinski stava duettando bene con Kvaratskhelia, Politano e Di Lorenzo si stavano muovendo in modo armonico. Il problema, lo ripetiamo ancora, è che si è trattata di una girandola tecnica, più che tattica. Nel senso: magari quei meccanismi sono stati provati e riprovati, su questo non c’è dubbio, ma si tratta di cose semplici. Banali. Già viste.
A volte basta muovere la palla e gli uomini un po’ più velocemente, con un pizzico in meno di prevedibilità, per segnare un gol
Il rischio del calcio scheletrico, il calcio che Garcia sta proponendo a Napoli, è quello che si è manifestato ieri sera. Vale a dire: il Napoli, pur dominando la partita, ha accelerato poco e ha prodotto un colpo di testa finito sul palo e poi un solo gol – più un altro annullato. Solo che un 1-0, per quanto netto, resta comunque un risultato minimo. Si cancella con un colpo di vento. Con una preventiva sbagliata su calcio d’angolo, per esempio. Per ridurre i rischi, servirebbe avere una difesa coriacea, sicura, che non si sfalda mai. Ecco, il Napoli non ce l’ha. I suoi difensori hanno bisogno di giocare in un sistema aggressivo, oppure – ancora meglio – di tenere la palla, per poter essere efficaci.
Carne, pesce, niente
Nel calcio moderno, piaccia o meno, un buon possesso palla – che non vuol dire tenere la palla e basta, vuol dire muoverla in modo da mettere in difficoltà gli avversari – è un’arma difensiva, prima ancora che offensiva. Serve a controllare le partite, però a controllarle davvero. Serve a riorganizzare il pressing, a tenere le distanze, a far salire o scendere il tono agonistico della sfida. Il Napoli di Garcia, invece, fa possesso fine a se stesso. Cambia marcia solo quando sono i calciatori a farlo, attraverso iniziative individuali. E, soprattutto, dà sempre l’impressione di essere una squadra sfilacciata, soggetta al pericolo di prendere un’imbucata.
Un’imbucata
In fondo, a pensarci bene, la cosa più disfunzionale del Napoli 2023/24 è proprio questa: la squadra di Garcia, per dirla con una frase fatta, non è né carne né pesce. Non è niente. Non è una squadra di possesso o comunque dominante, offensiva, perché non ha gli schemi per esserlo. E non è una squadra difensiva, perché non sa esserlo o comunque non riesce a esserlo fino in fondo. È in una terra di mezzo fatta di equivoci ed errori. Ristagna in uno spazio dell’anima in cui il possesso palla (addirittura 73% alla fine della gara contro l’Union) diventa sterile e ripetitivo. Ha un pressing disordinato e poco efficace, se escludiamo alcuni exploit isolati. Solo Zielinski e Politano stanno facendo di più rispetto agli anni scorsi: tutti gli altri talenti in rosa hanno un rendimento inferiore rispetto alle loro potenzialità certificate.
I cambi tardivi
Contro l’Union, un altro segnale francamente inspiegabile va ricercato nella gestione dei cambi di Garcia. Come detto già in precedenza, il Napoli non ha costruito nessuna occasione davvero pericolosa dopo il minuto 51, ovvero dopo aver subito il gol del pareggio. Eppure la prima sostituzione, con conseguente cambio modulo, è arrivata al minuto 77. Il Napoli è passato al 4-2-3-1/4-4-2 con Anguissa e Zielinski nel doble pivote, e poi con Kvara e Politano ai lati di Simeone e Raspadori. Nello stesso momento in cui è entrato Simeone, un centravanti decisamente più prestante rispetto a Raspadori, Mário Rui – un terzino abile nel crossing game – ha fatto spazio a Olivera. Lindstrom è entrato solo al minuto 87, Cajuste ha preso il posto di Zielinski nel corso dei minuti di recupero.
il 4-4-2 del Napoli dopo i cambi
Proprio perché Garcia si basa su concetti elementari, basici, il cambio modulo andava fatto prima. Bisognava dare dei nuovi stimoli, dei nuovi impulsi, alla squadra. Niente di diverso rispetto a quanto fatto dieci giorni fa contro il Milan. E invece il tecnico francese ha (misteriosamente) deciso di aspettare. Di restare col 4-3-3 fino al minuto 77. Il risultato? Lo abbiamo anticipato prima, ampliamo la rilevazione a scanso di equivoci: dal minuto 51′ fino al primo cambio, il Napoli ha tirato in porta una sola volta. Con Rrahmani, di testa, sugli sviluppi di un calcio d’angolo. L’Union Berlin ha chiamato Meret a intervenire per 2 volte.
Conclusioni
I numeri e le evidenze tattiche parlano da soli. Dicono che il Napoli è una squadra priva di identità di gioco, che gli azzurri controllano le partite solo in apparenza, che il lavoro tattico di Garcia non è solo insufficiente, ma anche inadatto alle caratteristiche della rosa. Il tecnico francese, in questa sua seconda esperienza italiana, si sta dimostrando un contenitore vuoto: il suo Napoli, infatti, pratica un calcio semplicissimo ma soprattutto senza idee, senza riferimenti.
È qualcosa di lontano anche dal calcio di Allegri, tanto per fare un paragone illustre: la Juventus di quest’anno difende bassa e compatta nella sua area per la stragrande maggioranza delle partite, poi prova a contrattaccare con (poche) azioni di ribaltamento veloce. Il Napoli, invece, non è definibile. Perché non è definibile ciò che fa. È una squadra che lascia a desiderare in tutto quello che propone, almeno dal punto di vista strategico, e allora non è niente. Anche il calcio di Allegri, in fondo, bisogna saperlo fare.
Nel 2023, anche se è un’idea che può non piacere, le squadre di calcio sono ciò che fanno in campo. Rappresentano qualcosa al di là dei risultati che riescono a raggiungere. In realtà è così da diversi anni: pensiamo ai valori del Barcellona di Guardiola e/o dell’Atlético Madrid di Simeone, dell’Inter di Mourinho, squadre non per forza offensive ma comunque con un’identità. Oppure a ciò che trasmettono oggi il Bologna di Thiago Motta o il Frosinone di Di Francesco, se vogliamo fare degli esempi meno nobili. Ecco, da quando c’è Garcia in panchina, il Napoli non trasmette nulla. Non è più un brand calcistico dal profilo definito, ha dismesso la filosofia di gioco che l’aveva portata allo scudetto senza adottarne un’altra. L’ha fatto per scelta precisa di Aurelio De Laurentiis, quando De Laurentiis ha scelto Garcia. I risultati di quella scelta sono sotto gli occhi di tutti.