Sta stracciando il pompatissimo “Comandante” film caro all’area di governo. “C’è ancora domani” è un film ahinoi attuale sulle donne anche se parla del passato
Paola Cortellesi riporta le file al cinema e ricorda che si fa business anche con l’impegno
La scena del sabato sera, con le signore che si preparano all’evento, ciascuna nella propria casa, è splendida. L’avesse girata un uomo, ce le starebbero facendo a quadrettini. Lei, Paola Cortellesi, artista da sempre sottovalutata, ha aspettato tanto prima di arrivare alla sua prima regia. Ricorda il suo personaggio di “Scusate se esisto!” (di cui non a caso fu una delle sceneggiatrici): l’architetta che rientra dall’estero e per vincere un concorso urbanistico in Italia deve fingere di essere un uomo. Perché, al fondo, la forza di “C’è ancora domani” è il suo essere drammaticamente attuale. Pur camuffato da film “storico” in omaggio ai neorealisti come amano dire i critici che sono come i giornalisti politici alla perenne ricerca del retroscena: a volte dimenticano che c’è anche la scena.
Se in questi giorni vi trovate a passare davanti a qualche cinema ancora aperto (a Napoli non sono più di dieci) non vi spaventate se assistete a scene insolite. Non stanno evacuando né distribuendo regali. No. Sono solo persone che si mettono in fila (sì i biglietti si possono acquistare on line ma tant’è) per guardare un film. Che non è l’iper-pompato “Comandante” cui la distribuzione ha destinato tutte le sale più grandi. No. Le persone si mettono in fila per l’opera prima di Paola Cortellesi: “C’è ancora domani”. Il film in sala uno anche no. Magari la prossima volta. Favino lo vediamo pure a colazione. Da giorni “C’è ancora domani” vince la quotidiana classifica degli incassi. Anche ieri 1° novembre, nonostante l’invasione del “Comandante” con l’onnipresente faccia di Favino (il protagonista è italiano e il film è andato a lui, siamo tutti più tranquilli), è finita con l’opera di Cortellesi che ha incassato un milione e 170mila euro (siamo già a tre milioni e mezzo in totale), mentre il Comandante si è fermato a 459mila 670 euro. Sarebbe interessante fare un rapporto posti a disposizione/spettatori.
Il film della Cortellesi colpisce. Fa discutere. Appassionare. Fremere. Piangere. Riflettere. Ribollire di rabbia. Coinvolge come avveniva un tempo, quando in sala si parteggiava. Avvince. È un film. Un film su un determinato periodo storico: l’occupazione americana. Ma è un film che potrebbe essere anche attuale, lo sappiamo fin troppo bene. È un film sulla condizione della donna e sulla società italiana, non ci vuole una laurea in cinematografia per capirlo. A dire il vero nemmeno la licenza media. Che belle tutte quelle signore anziane in sala. È evidente che alcune erano anni che non mettevano piede in un cinema. Ma questo non si può perdere. E quando si accendono le luci, quasi si cercano con lo sguardo. Cortellesi sa rifilare cazzotti nello stomaco col sorriso sulle labbra. Anche quando è impietosa sulle violenze domestiche. Si percepisce che è un film che aveva in mente da tanto. La scenografia è curatissima. Chi ha vissuto quei tempi, ha ritrovato oggetti e situazioni della propria infanzia.
Il critico cinematografico Valerio Caprara storce il naso, lo trova didascalico e «un’operazione nel suo insieme che sembra premeditata e programmata a tavolino, puntando dritta, cioè, ai David di Donatello e gli altri premi nazionali allineati e corretti». Mah. Forse è elementare (nel senso di semplice) in alcuni passaggi. Evidentemente di questi tempi ce n’è bisogno.
A noi scatta automatica la domanda: ma se “C’è ancora domani” è studiato a tavolino, allora “Comandante” che cos’è? Un film sull’eroe di guerra durante il fascismo, con la bandiera della Decima Mas, che solletica l’italiani brava gente, iper-finanziato da Rai Cinema in pieno governo di centrodestra. Non ci dilunghiamo.
Torniamo a noi, alla Testaccio del dopoguerra. Al pranzo di fidanzamento che è degno delle grandi commedie italiane, per non parlare della veglia funebre. Forse Paola Cortellesi ha trovato il momento giusto per dire che in Italia si è esagerato col disimpegno. Se non altro, è anti-economico. Come dimostrano gli incassi.