A Repubblica: «Ora tutti si accorgono che si gioca troppo. Non conta niente la Cgil, figuriamoci l’assocalciatori. Il mio Napoli sarà ricordato per 30 anni»
Maurizio Sarri intervistato da Repubblica. Parla del calcio esasperato di oggi, torna sulla battaglia che porta avanti da anni: si gioca troppo. E dice: «Tornare in Italia è stato un errore».
«Ne parlo da cinque anni, eppure mi accusano di cercare alibi e basta. In questi giorni in Spagna sta venendo giù il mondo per l’infortunio di Gavi, lo chiamano Uefa Virus: spero che qualcuno abbia l’onestà intellettuale per riconoscermi che certe cose io le dico da una vita».
«L’unico calcio sostenibile è quello inglese, il più tradizionalista, dove il sabato pomeriggio non c’è nessuna partita in tv perché la gente affolla gli stadi delle categorie minori. La finale di FA Cup è il match più visto al mondo dopo quella di Champions, eppure da cent’anni ha sempre gli stessi riti e si gioca a Wembley, mica in Arabia. Vorrà dire qualcosa?».
Cosa?
Sarri: «Lì c’è il tentativo di non fare cadere il movimento nella globalità. Così loro sono tutti ricchi, mentre i nostri ricchi sono i poveri d’Europa. Il calcio è uno sport emozionale: se gli togli l’emozione, a livello televisivo non è certo il migliore spettacolo del mondo. L’emozione la tiene viva il bambino che va allo stadio, ma non c’è futuro se si mira al pubblico degli highlights».
Sarri è un rompiscatole perché si lamenta sempre: non è stufo di sentirselo dire?
«Sostanzialmente me ne frego, ho una testa pensante e critico, anche se questo calcio fa il mio bene. In privato i colleghi, tutti, mi dicono bravo, fai bene, bisogna denunciare. Ma poi non ce n’è uno che mi venga dietro».
Perché i sindacati di calciatori e allenatori non si fanno sentire?
«Non conta più niente la Cgil, cosa volete che contino Aia e Aic».
Quante partite un calciatore dovrebbe fare, in un anno?
«Al massimo 50. Si potrebbe almeno cominciare dalle piccole cose, tipo rinunciare alle tournée estive eriportare la Coppa Italia ad agosto anche per le grandi, facendole giocare sui campi delle squadre di Serie C, che così farebbero incassi per campare tutto l’anno. Ma di sicuro ci direbbero che c’è un problema di ordine pubblico per cui la Juve non può andare a Campobasso. La Coppa Italia è un evento clandestino cucito su misura per l’audience televisiva degli ultimi turni. Ma il calcio non è questo, è il Bayern che perde con una squadra di C».
Ma esiste o no, ‘sto sarrismo?
«Se ci riferiamo agli anni di Napoli, io non posso e non devo fare quel calcio lì per forza, anche se la gente pretende da me sempre la stessa maniera di giocare. Avere dei palleggiatori non è come avere dei contropiedisti, mi devo adattare, la Lazio non potrà mai essere come il Napoli».
Finirà per andare anche lei in Arabia?
«Si può fumare, in Arabia?».
Sì sì.
«Allora vedremo. Comunque non è una cosa programmabile oggi. Se penso al futuro, mi piacerebbe essere l’allenatore della Lazio al Flaminio».
E lei, alla fine, è felice di quello che ha combinato?
«Sono parecchio contento perché vengo da parecchio lontano. Il Napoli di Sarri sarà ricordato per trent’anni».