La resa definitiva della Gazzetta, con un pezzo grondante “nostro italiano” e retorica da Istituto Luce. Bastava dire: abbiamo sbagliato
Invece di scrivere tre parole secche – abbiamo esagerato, scusate – Giancarlo Dotto ripete “italiano” 7 volte, “italiani” altre 5. Sostantivo, aggettivo, quasi coniugati in forma verbale. Sparpagliati in un centinaio abbondante di righe parodiate (più o meno consapevolmente) dal registro retorico dell’Istituto Luce. La Gazzetta dello Sport, due mesi dopo la settimana di “Sinner caso Nazionale”, mette in pagina un doloroso redde rationem.
Non poteva durare a lungo la latitanza della firma che su Sportweek dedicò anima e penna a fustigare il “Peccatore”, traditore della Patria per aver rinunciato alla convocazione della Coppa Davis. Sinner nel frattempo ha dominato il tennis mondiale, per poco non ha vinto le Finals. Sul carro è salito chiunque. È nazionalpopolare come un Pippo Baudo, una Raffaella Carrà. Lo cercano da Sanremo. Mancava, appunto, solo lui. Bastavano tre parole. Invece no.
È una resa condizionata, quella della Gazzetta. Gliel’avevano già rinfacciata tutti (persino il democristianissimo Abodi) quella campagna un po’ smodata. Sinner niente: mai una parola, uno spasmo, solo tennis. Il miglior tennis di fine 2023 possibile. E dunque ecco che “la seduzione di Jannik è diventata giorno dopo giorno micidiale nel suo essere nostro, nel suo scoprirsi definitivamente ‘italiano’, senza esserlo davvero completamente, nostro e italiano”.
Sgrezzato dell’armamentario di metafore sature (“Sinner il Pupo, Djokovic il Lupo…”), tutto il pezzo è così: una arrampicata asmatica per riprendere il filo di quel discorso. Per riportare a casa un figlio della Patria perduto. L’identità, il Paese, “il nostro”, “l’italiano”. Che “per sbocciare, tutto questo fiore gemmato aveva solo bisogno dell’ecosistema giusto“. Ovvero casa Italia, “un ventre materno. Lui ha galleggiato nella placenta e si è sentito invincibile. Come tutte le creature che, aspettando di venire al mondo, accolgono la carezza suprema”. Lo stridore delle unghie sullo specchio rompe il muro del suono.
Mica Sinner era già sbocciato oltreconfine… no no: il numero 4 del mondo per la Gazzetta ha un valore solo se ricondotto alla classifica sciovinista. Serviva Torino per riabbracciare il figliuol prodigo solitamente massacrato perché residente a Montecarlo.
Dotto nota che ora e solo ora Sinner “ha fatto sua una bandiera, non per dovere anagrafico ma per convinzione, senza l’essere completamente un apostolo delle virtù, dei vizi e della storia di quella bandiera. Insomma, noi abbiamo imparato ad amare Jannik anche perché non ci appartiene sino in fondo. Perché non ci somiglia”.
È un pezzo che va letto pensando a Fonzie che non riusciva a dire “ho sbagliato”, non gli uscivano le parole. Dotto ne trova ben 987. “Scusa” non c’è. Però riesce a scrivere cose così:
“Se siamo diventati in una settimana milioni di euforici Carota boys, possiamo rovesciare il concetto e dire che lui, nella stessa settimana, è diventato un non meno euforico Maccarone boy. Uno dei nostri“.
“Jannik ha scoperto la bellezza torrida di essere nostro e di ritrovarsi italiano. Sentirsi italiani per adozione avvenuta, conclamata e plebiscitaria. Cosa di più bello?”.
Ora – attenzione! – è “Noi con Jannik e lui con noi”.
E infine lo sfogo, personale: Dotto è la vittima. Dei social cattivi.
“Il deturpante e spesso orrido dilagare dei social non ha solo moltiplicato il rumore di fondo. Ha portato alla bruta semplificazione dei concetti, là dove non importa articolare un pensiero, quanto materializzare un nemico. Banalizzare l’altro è necessario per insultarlo e insultarlo è indispensabile per darsi una statura, non avendone una. Stimolare una riflessione per cui un ragazzo bello, intelligente, pieno di talento, più apolide che altro nella migliore della ipotesi, possa diventare più forte e persino più bello (e anche più ricco) calandosi nel tessuto emotivo di una collettività, per esempio rispondendo alle convocazioni della Nazionale, anche quando strategicamente inopportuna, non meritava le repliche ottusoidi dei soliti inutili idioti sbavatori alla corte dei vincenti. Ma così va il mondo che non sa dove andare”.
E questa è la “bella” andata in stampa, possiamo solo immaginare la “brutta”. Cosa non daremmo per poter indagare il disco fisso del suo pc, in questi due mesi di silenzio.
Ora c’è la Coppa Davis, Sinner sono due mesi che ribadisce che ci sarà. “Da qui in poi – conclude Dotto – siatene certi, la finalmente e definitivamente ‘nostra’ Volpe Rossa giocherà per la ‘sua’ Nazionale anche con un braccio ingessato. Consapevole di quanti ragazzi e bambini, incidentalmente italiani, stanno impugnando o di questi tempi impugneranno la loro prima racchetta per imitare un italiano vero che gira il mondo e spacca con i suoi rovesci incrociati e la sua bella chioma color rame”.
Mancavano giusto i bambini “incidentalmente italiani”. Era quasi meglio Sinner = Peccatore.