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Favino: «il successo di “C’è ancora domani” è merito di Cortellesi non del cinema italiano» (Repubblica)

«Sarebbe ingeneroso saltare sul carro del vincitore. Il pubblico è cambiato, come i tennisti italiani: sono freddi, precisi, hanno poco della tradizione»

Favino: «il successo di “C’è ancora domani” è merito di Cortellesi non del cinema italiano» (Repubblica)
Napoli 16/03/2023 - photocall film ‘L’ultima notte di amore’ / foto Image nella foto: Pierfrancesco Favino

Pierfrancesco Favino intervistato da Repubblica. Parla del cinema, di Paola Cortellesi (il cui film “C’è ancora domani” ha superato i trenta milioni di incasso) ma anche di Coppa Davis e di possibilità di comunicare.

Il caso “C’è ancora domani”?
«Conosco Paola da trent’anni, sono strafelice. Ma non mi piace l’idea che si associ Paola e cinema italiano: Paola sta facendo una cosa che va riconosciuta a lei. Sarebbe ingeneroso, visto quel che succede rispetto al racconto femminile, saltare sul carro del vincitore. Una delle cose più belle, se pensiamo ai film di successo quest’anno, è che sono fuori da ogni possibilità di previsione algoritmica. Significa che l’intuizione umana, creativa, dell’artista, incontra in modo magico un momento storico e le persone».

Gli spettatori vestiti da nazisti in sala per “Comandante”?
Favino: «Ne ho immaginato la delusione per aver sbagliato film. E me li sono visti nel ritorno a casa, la camminata nelle brume venete, la moglie che dice “lassia fuori gli stivali”, “’ttento co’ e pistole” e loro che rimettono nel cellophane un’inutile maschera. Sicuramente c’è stata una lettura preventiva del film, che non ha nulla a che vedere con la creatività degli artisti».

Come cambia il cinema italiano?
«Il cinema è fatto dalla sala, da quello che c’è sullo schermo e dal pubblico. È cambiato molto il pubblico, ma anche la comunicazione del cinema: stiamo sempre di più raccontando solo il costume. E invece c’è un pubblico giovane che conosce ed è curioso. Una delle pagine più belle degli ultimi giorni è stata la vittoria della Coppa Davis di due ventenni che hanno giocato come non giocano gli italiani: con una precisione, freddezza, lucidità che hanno poco della nostra tradizione. Ci abbiamo messo quarant’anni».

Lei si è sempre speso per la sua categoria. È successo alla Mostra di Venezia sui ruoli agli italiani, con una grande polemica.
«Fa parte del mestiere prendere delle posizioni, se vantaggiose per un’intera categoria. Poi questioni complesse vengono ridotte a titoli beceri, per fare clic, una deriva che non mi piace. Ma non mi piego all’idea che non si possa più parlare con gli altri».

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