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Jorginho: «Tirare un rigore diventa sempre più difficile, quindi adesso li calcio in modo diverso»

A The Athletic: «Ovunque sia andato, ho sempre trovato diffidenza nei miei confronti: da Verona a Napoli al Chelsea. È la storia della mia vita»

Jorginho: «Tirare un rigore diventa sempre più difficile, quindi adesso li calcio in modo diverso»
Arsenal's midfielder Jorginho celebrates his penalty kick during a friendly football match between the Major League Soccer (MLS) All-Star team and Arsenal FC, at Audi Field in Washington, DC, on July 19, 2023. (Photo by Stefani Reynolds / AFP)

Alcuni estratti dell’intervista che Jorginho, centrocampista dell’Arsenal, ha rilasciato a The Athletic.

Cosa vede Arteta in Jorginho?

«Forse questa è una domanda per lui! Non lo so… ha provato a portarmi con sé un paio di volte. Penso che faccia affidamento sulle mie qualità, non solo in campo, ma anche fuori dal campo. Aiuto i miei compagni, la società, lo staff, portando la mia esperienza, la mia mentalità di voler vincere sempre».

Il centrocampista dell’Italia parla degli inizi della sua carriera, quando riceveva le prime critiche:

«Ho imparato a utilizzare le critiche come motivazioni perché ci sono due modi: o le ricevi e ti buttano giù oppure le prendi e le trasformi in motivazioni per dimostrare agli altri che si sbagliano. Ed è quello che ho sempre fatto fin dal Verona. Ero giovanissimo e i tifosi non volevano che giocassi perché ero troppo giovane, pensavano non fossi ancora pronto. Siamo passati dalla serie B alla serie A. Nei primi sei mesi ho segnato sette gol e poi sono stato ceduto al Napoli. Sono arrivato al Napoli, stessa storia. I tifosi non ne erano sicuri. E poi abbiamo fatto la storia per il modo con cui giocavamo a calcio. Poi sono andato al Chelsea e lì ancora: “Sì, è troppo lento… la sua fisicità”. L’ho sentito per tutta la mia carriera, riguardo alla mia fisicità e al mio ritmo».

E ancora:

«Il fisico e la velocità non sono i miei punti di forza, lo so. Ecco perché non faccio affidamento su quello. E sono arrivato fin qui grazie alla mia forza. Uso il cervello, anticipo le cose. Posso vedere le cose in modo diverso. La mia qualità è rendere le cose più facili a tutta la squadra, far sì che la squadra giochi meglio».

Sulla questione rigori:

«Credo in me stesso. Non è una situazione egoistica. Se qualcun altro si sente meglio in quel momento e vuole tirare il rigore, sono il primo a lasciargli il pallone. L’obiettivo principale è sempre la squadra. Devi mettere prima la squadra e poi te stesso».

Durante l’ultimo rigore, Jorginho ha cambiato il modo di calciare il pallone:

«I portieri studiano sempre di più, e tirare un rigore diventa sempre più difficile, e diventerà sempre più difficile. Quindi, ad un certo punto, ho pensato: “OK, ho bisogno di un’altra opzione”. Avere un’altra opzione di tiro può diventare un po’ complicato per i portieri».

Il gioco di Jorginho è più brasiliano o italiano: Pensi di giocare più come un brasiliano o come un italiano?

«È complicato. Tatticamente non penso di essere brasiliano. La mia mentalità e la mia tattica sono tutte italiane, la tecnica viene dal Brasile».

Un aneddoto di quando giocava a Verona:

«Sono andato in Italia e vivevo con 20 euro a settimana. Vivevo in un monastero, ma non ho mai visto preti. Sai, c’era la parte per i preti e poi c’era l’altra parte, questo corridoio con tutte le camere da letto, come per gli studenti, per i giovani giocatori. E vivevo lì con cinque ragazzi. Eravamo in sei nella stanza, ci trattavano benissimo. Quando ci sono andato per la prima volta avevo 15 anni. Poi ho scoperto che l’agente si prendeva i soldi. Quando l’ho scoperto sono impazzito. In quel momento per me il calcio era finito. Volevo tornare a casa. Ho chiamato a casa piangendo e ho detto: “Basta”. Mi mancavano i miei amici, la mia famiglia, la mia casa. E vivevo con 20 euro a settimana. Non posso aiutare la mia famiglia, cosa ci faccio qui?».

L’italo brasiliano continua:

«Ho chiamato a casa, piangendo. E fortunatamente i miei genitori mi hanno detto “no”. Mi hanno convinto a restare. Fortunatamente. Poi tutto è cominciato a cambiare, ho chiesto all’agente perché non avevo un contratto da professionista e lui mi diceva: “Oh, mi dispiace, non te lo vogliono fare. Devo trovarti un’altra squadra”’. Ho pensato: “È strano”. E poi ho parlato con il mio amico, uno dei miei migliori amici che era il portiere della squadra, lui ha parlato con il suo agente per smascherare il mio. Io ero minorenne, la squadra trattava solo con lui. Lui chiedeva più soldi al club e a me diceva che era il club che non voleva farmi il contratto».

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