Appena due i tiri in porta. Mazzarri ci sta provando, non sappiamo quanto ci creda nel 4-3-3 ma lo sta facendo. Il processo è lungo
Come ha giocato il Napoli?
Il Napoli è una squadra tenera. E che fa tenerezza. Ovviamente adesso approfondiremo l’analisi tattica della partita e spiegheremo queste due definizioni, ma intanto cominciamo da qui. E dal fatto che la Juventus, esattamente come Inter e Real Madrid, forse anche di più, ha messo a nudo gli enormi problemi ereditati da Mazzarri. Problemi su cui Mazzarri, questo va detto subito, sta facendo fatica a lavorare. La partita di Torino, in questo senso, è stata una cartina al tornasole dello stato attuale del Napoli: le uniche occasioni vere degli azzurri sono arrivate in modo casuale, o comunque solo quando la Juventus ha sbagliato qualcosa e/o si è scoperta in modo eccessivo.
I numeri sono eloquenti: il Napoli, in 90 minuti più recupero, ha tirato solo 2 volte nello specchio della porta di Szczesny. Con Di Lorenzo dopo un flipper in area di rigore, sugli sviluppi di una punizione. E poi con Raspadori, da fuori area, ma la sua conclusione è stata a dir poco velleitaria. Le altre occasioni davvero pericolose in realtà sono una: quella capitata a Kvaratskhelia, dopo una ripartenza lunga Zielinski-Osimhen. Stop, basta. Fine delle trasmissioni.
Tutto questo ci spinge a chiederci: ma come ha giocato il Napoli? Cos’ha fatto, e quindi cos’ha preparato in allenamento, per vincere la partita? Su quali meccanismi doveva fondarsi il tentativo di superare il sistema difensivo della Juventus? E soprattutto: al di là del possesso palla – percentuale del 67% a fine partita – e del tentativo di sovraccaricare il gioco a destra, quale piano partita, iniziale o alternativo, è stato fornito al Napoli perché diventasse più pericoloso, più efficace in fase offensiva?
La necessità di avere un piano
La verità è che non ci sono risposte a questa domanda. O meglio: in questo momento, e fino a questo momento, Mazzarri sta lavorando/ha lavorato su alcuni concetti che il Napoli effettivamente esprime. Si tratta del 4-3-3/4-5-1 d’ordinanza, della difesa con baricentro alto, di una chiara tendenza al recupero palla in avanti, al pressing intenso. Tutte cose che, però, il Napoli fa in modo ancora intermittente. Ed elementare. Per questo, come detto prima, è una squadra che fa tenerezza: cerca in ogni modo di fare cose che in questo momento non gli appartengono. Per cui non è allenata ormai da mesi, o per cui ha ricominciato ad allenarsi da poco tempo.
Tutto questo, è chiaro a chiunque, Mazzarri lo vede e quindi lo vive come un obbligo. Nel senso: l’allenatore del Napoli è stato (ri)chiamato al posto di Garcia non per effettiva convinzione nei suoi metodi e nelle sue idee, ma perché facesse giocare la squadra in un certo modo. Mazzarri lo sta facendo, neanche troppo male in verità, ma finora ha potuto/dovuto concentrarsi solo su alcuni aspetti di quel modello di gioco. Quelli da cui si parte e che quindi è più urgente ricomporre/riproporre. Quelli che si vedono e di cui abbiamo parlato finora. E che però non bastano, non possono bastare, quando gli avversari hanno buona qualità. E quindi sanno difendersi da quel poco che il Napoli riesce a produrre.
Così torniamo esattamente al punto precedente. Al punto iniziale. Il Napoli, a dicembre 2023, non ha un piano e dei giochi offensivi. E quindi crea pochissime azioni che gli avversari faticano a leggere e a difendere. Alla Juventus, esattamente com’era successo all’Inter sei giorni fa, è bastato rimanere schierata in blocco basso dentro la sua metà campo – la squadra di Allegri ha tenuto un baricentro a 44 metri nel primo tempo – e accelerare in due o tre occasioni per essere pericolosa.
Il 5-3-2 difensivo della Juve, con undici giocatori sotto la linea della palla e la difesa schiacciata a ridosso dell’area di rigore
Se ci aggiungiamo che quella della Juve è una difesa difficile da superare per chiunque, non solo per questo Napoli così poco ispirato, allora tutto torna. Ma il nocciolo della questione, lo ripetiamo, sta nel fatto che il Napoli sembra dominare la partita, in alcuni momenti effettivamente arriva davvero a controllarla, ma alla fine non riesce a concretizzare questa sua superiorità. E allora, nonostante quando detto da Mazzarri nel postpartita di Torino, si deve parlare per forza di una superiorità soltanto virtuale. E, quindi, non reale.
Il gol della Juventus (ma il vero problema è l’attacco del Napoli)
Torniamo per un altro alla definizione con cui abbiamo aperto questa analisi: quella sul Napoli tenero. E che fa tenerezza. Quello che intendiamo si vede chiaramente nel momento del gol della Juventus. Che si determina da una palla inattiva – la rimessa lunga di McKennie può/deve essere considerata in questo modo – su cui il Napoli non ha saputo reagire in maniera rapida e quindi efficace. Il problema più grave, quindi, non sta tanto nel posizionamento in area e del modo in cui Gatti svetta su Rrahmani. Ma nel modo blando in cui il Napoli esce – o meglio: non esce – su Cambiaso, lasciandogli tutto il tempo per alzare la testa, guardare in area di rigore, calibrare un cross perfetto per Gatti.
Tutto troppo semplice
Nel calcio moderno, tutti gli aspetti del gioco di una squadra sono legati a doppio filo tra loro. E lo sono in modo inscindibile. Il Napoli di un anno fa non subiva questo tipo di gol, almeno non così tanti come in questa stagione, perché non permetteva ai crossatori, come Cambiaso ieri sera, di avere tutta questa libertà. Risalendo la piramide, la squadra azzurra si poteva permettere questo atteggiamento difensivo così aggressivo perché aveva una migliore condizione fisica, innanzitutto, ma anche perché giocava attuando un modello che gli permetteva di essere efficace tenendo il pallone, di mettere costantemente sotto pressione la difesa avversaria. Cosa che a Torino, ieri sera, non è successa quasi mai.
Siamo di nuovo allo stesso punto: l’evanescenza della fase offensiva del Napoli. E ovviamente non si tratta di un caso, che si torni sempre a parlare delle stesse cose. Come detto prima, d’altronde, tutto è correlato. E quindi ecco altri numeri: ieri sera la squadra di Mazzarri ha costruito il 50% delle azioni – esatto, una su due – passando dalla fascia destra. Eppure, se guardiamo ai 29 cross messi a referto, solo 4 hanno effettivamente portato a un tiro scoccato verso la porta di Szczesny.
Oltre a questo tipo di soluzione, il Napoli ha mostrato di non avere alternative. A dirlo, come al solito, sono le statistiche: la squadra di Mazzarri ha cercato il lancio lungo – l’anno scorso era uno strumento fondamentale, soprattutto alla ricerca di Osimhen dopo aver liberato e creato spazio con il palleggio dal basso – una volta ogni 10 passaggi complessivi. E, soprattutto, ha messo insieme soltanto 5 dribbling riusciti su 18 tentati. Tutti i dribbling andati a buon fine sono stati di Khvicha Kvaratskhelia.
Invece la Juventus ha un piano (essenziale, ma ce l’ha)
Tornando all’analisi puramente tattica della partita, partendo proprio dal gol di Gatti, c’è da dire che la Juventus ha mostrato di possedere ciò che manca al Napoli: un piano tattico ben eseguito, in difesa e in attacco, che gli permette di sfruttare le caratteristiche dei suoi giocatori. Nel caso specifico della rete decisiva, facciamo riferimento alla fisicità di Gatti, alla sua presenza in area. Ma c’è anche tutto il resto: contro il Napoli, per esempio, Allegri ha costruito il suo 3-5-2/5-3-2 inserendo Cambiaso come esterno destro a tutta fascia e accentrando McKennie nel ruolo (teorico) di mezzala.
In questi due frame, troviamo altrettanti interscambi di posizione tra Cambiaso e McKennie. In alto, vediamo Cambiaso ricevere centralmente mentre McKennie taglia dietro le spalle di Lobotka, per andare a garantire ampiezza. Sopra, invece, vediamo entrambi i giocatori larghissimi sulla destra.
Con questa mossa, Allegri ha tolto punto di riferimenti al Napoli laddove il Napoli è strutturalmente più debole, in questo momento: la fascia sinistra difensiva. Dall’altra parte del campo, invece, Chiesa ha determinato una tensione costante nella difesa avversaria, grazie ai suoi movimenti alternati, una volta verso il centro e un’altra ad allargare il campo sul lato di Kostic – sempre in appoggio sulla corsia. Come detto in precedenza, la Juve non ha avuto il bisogno di giocare ad altissimo ritmo e/o di dominare il possesso per controllare la partita. Alla fine, ai bianconeri sono bastate due accelerazioni – di Chiesa – nel primo tempo e un buon cross dalla fascia per vincere la partita. E per creare lo stesso numero di palle gol costruite dal Napoli, più o meno.
I numeri, come al solito, dimostrano però anche come la squadra di Allegri avesse un piano tattico da seguire. Essenziale, ma pur sempre un piano. E allora eccoli, questi numeri: un passaggio lungo – che fosse su Vlahovic schierato come pivote, oppure una sventagliata a cambiare gioco – ogni 4,5 passaggi, ricerca costante dell’ampiezza (i bianconeri hanno costruito il 78% delle loro azioni sulle corsie laterali) e ricerca immediata del passaggio in area di rigore.
La famosa solidità difensiva dei bianconeri si è manifestata soprattutto dopo il gol di Gatti: il Napoli, una volta passato in svantaggio, ha iniziato letteralmente a sbattere contro il muro eretto da Allegri al limite della sua area di rigore. In realtà nel primo tempo, come abbiamo visto quando abbiamo parlato delle (rare) occasioni costruite dal Napoli, i difensori della Juve non erano stati sempre precisissimi: uno scatto in avanti di Bremer ha determinato l’occasione in contropiede rifinita da Osimhen e fallita da Kvaratskhelia, un rimpallo comico dentro l’area di rigore ha portato Di Lorenzo a concludere davanti alla porta spalancata. Queste imprecisioni non si sono più viste. Ed è bastato, ad Allegri, per portare a casa i tre punti.
I cambi di Mazzarri
Anche perché, esattamente come succedeva con Garcia, le sostituzioni di Mazzarri non hanno apportato modifiche sostanziali al Napoli. Il cambio Elmas-Zielinski ha dato alla squadra azzurra una forma solo leggermente più fluida, nel senso che il macedone si è mosso qualche metro più avanti e quindi a volte in campo si è determinato una sorta di 4-2-3-1, ma non ha portato a una trasformazione davvero impattante. Poi sono entrati Raspadori e Zanoli, e con il passare dei minuti Mazzarri ha disegnato un 4-2-3-1 più netto, con Elmas a destra e l’ex Sassuolo accanto/dietro a Osimhen. Infine, dentro Simeone e Cajuste come mosse della disperazione: doppio centravanti, Raspadori sulla sinistra e doble pivote Cajuste-Anguissa.
Il 4-2-3-1 con Raspadori sottopunta ed Elmas largo a destra
I risultati di tutti questi spostamenti? 11 cross dalle fasce di cui 9 respinti. E una conclusione da fuori, che abbiamo già definito a dir poco velleitaria, tentata da Raspadori. Nient’altro da aggiungere. Questo per dire che, al netto delle sacrosante critiche tattiche che vanno fatte al Napoli, e le stiamo facendo, va anche evidenziato una chiara regressione tecnica dei calciatori. Nel senso: l’esito delle partite dipende tantissimo dagli allenatori, questo spazio sul Napolista lo racconta e prova a spiegarlo da sempre, ma in fondo a fare la differenza reale sono le giocate di chi va in campo. E il gol fallito da Kvaratskhelia nel primo tempo è solo più appariscente rispetto a un cross di Politano, Di Lorenzo, Elmas e/o Natan che viene ribattuto da un difensore avversario.
Conclusioni
Mazzarri ha ereditato una squadra in evidente emergenza tattica e fisica, e finora ha semplicemente rimesso insieme i cocci. L’ha fatto come gli hanno detto/imposto di fare, non possiamo sapere se ci crede davvero in questo 4-3-3 aggressivo e tendente al possesso, ma attualmente il Napoli sta andando in questa direzione. Lo sta facendo lentamente, passo passo, il processo è lungo e finora ha incontrato avversari duri e soprattutto formati, scafati, maliziosi. Dal punto di vista strategico, ma anche emotivo e mentale.
Detto questo, però, la pochezza della proposta offensiva del Napoli resta un fatto. Come abbiamo chiosato alla fine, questa situazione è legata anche a errori tecnici evidenti, al rendimento non ancora all’altezza di diversi giocatori – si pensi a Osimhen oggi e Osimhen ad agosto/settembre 2023, non c’è bisogno di arrivare fino a un anno fa. Ma, per il bene del Napoli, è fondamentale ribaltare il nesso causa-effetto: la squadra azzurra non riesce a segnare perché produce poco, non perché non concretizza ciò che produce. Ci sono degli enormi problemi tattici, ed è qui che Mazzarri deve intervenire.
La fragilità difensiva è un tema, così come la sostituzione azzardata di Kim Min-jae con Natan. Ma resta il fatto che, prima con Garcia e ora con Mazzarri, non abbiamo visto ancora un Napoli con un chiaro piano tattico cui fare riferimento. Soprattutto con il pallone tra i piedi. E questa condizione, come abbiamo detto/spiegato in precedenza, ricade a cascata su tutto ciò che il Napoli fa in campo. A cominciare dalla fase difensiva. Quella fase difensiva che i giocatori del Napoli vorrebbero interpretare in modo aggressivo, proattivo, dominante, e invece si rivela perforabile. Ci provano, ma non ci riescono. Ecco perché abbiamo parlato di un Napoli tenero. Ecco perché abbiamo parlato di un Napoli che fa tenerezza.