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L’avvocato della sentenza Bosman: «Quella sulla Superlega vale dieci volte di più»

Dupont allo Zeit: Questa volta non si tratta di regolamentare il mercato del lavoro, ma delle condizioni fondamentali in cui possono svolgersi le competizioni

L’avvocato della sentenza Bosman: «Quella sulla Superlega vale dieci volte di più»
Madrid (Spagna) 24/01/2017 - presentazione campagna 'Sin respeto no hay juego' / foto Alterphoto/Insidefoto/Image Sport nella foto: Florentino Perez

Altro che sentenza Bosman, Domani la Corte di giustizia dell’Unione europea in Lussemburgo potrebbe chiudere (o ridare speranza) alla Superlega, dando ragione alla Uefa sul presunto abuso di posizione dominante nell’organizzazione delle competizioni in Europa. In ogni caso si tratta di una sentenza “dirompente”.

Lo dice al Die Zeit Jean-Louis Dupont, l’avvocato belga che nel 1995 rappresentò Jean-Marc Bosman nella querelle giudiziaria che avrebbe poi trasformato il calcio europeo, rivoluzionando le leggi sui trasferimenti dei calciatori. “La sentenza ha il potenziale per essere Bosman alla decima potenza. Questa volta non si tratta di regolamentare il mercato del lavoro, ma delle condizioni fondamentali in cui possono svolgersi le competizioni”.

Rummenigge alla Gazzetta sulla Superlega

«Preoccupato? Ora no. Lo ero la notte in cui hanno annunciato la Superlega. Erano dodici, avevano cercato di convincere invano noi e altri, erano alla rottura. Ho pensato: “E se fanno davvero la rivoluzione? Sarebbe il caos”. In due giorni la bolla è scoppiata. Ero allo stadio per il Bayern e Ceferin ogni cinque minuti mi mandava sms per di-dire: s’è ritirato il Chelsea, il Liverpool, il City… Era finita. Ma il piano A, con le top d’Europa, era solo un alibi: il loro obiettivo è inserire arabe, americane, fare un torneo internazionale. Perdere le radici».

E su Agnelli dice:

«Non sono più riuscito a parlare con Andrea dalla domenica in cui ha staccato il cellulare. Giravano voci, non veniva a Montreux e non rispondeva. Credo non abbia avuto il coraggio di dire cosa stava facendo. Capisco che il coronavirus abbia forzato i club ad accelerare, qualcuno voleva soldi freschi, ma quella presentazione non è stata professionale. Lui non lo capisco e mi spiace umanamente. Era presidente Eca, era nell’Esecutivo Uefa, era presidente di una Juve tra i cinque top club. Ha perso tutto. Anche l’immagine. Andavamo d’accordo, ma, quando gli dicevo che il calcio non è solo economia, non la pensava come me».

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