Al 4 dicembre 2023, il Napoli si ostina a voler giocare un calcio che non conosce più. Ieri a tre in impostazione l’Inter era in difficoltà
La dittatura del 4-3-3
Un giorno, e quando arriverà quel giorno sarà sempre e comunque troppo tardi, qualcuno riuscirà a liberare il Napoli dalla dittatura – autoimposta, ok, ma pur sempre dittatura – del 4-3-3. Ok, è vero: la rosa della squadra azzurra è stata costruita per giocare con quel sistema. Ma è vero pure che i tempi e le cose cambiano. Possono cambiare. Anzi: devono cambiare, in alcuni casi. In occasione di Napoli-Inter stavano anche cambiando, nel primo tempo. Poi però Mazzarri e i suoi giocatori sono tornati a rifugiarsi sotto l’ombrello dell’unico sistema di gioco che pare essere praticabile dal Napoli. E in questo modo hanno vanificato tutto.
Ovviamente va dato merito anche agli avversari. Nel caso specifico, a un’Inter intelligente e cinica, dura come l’acciaio e anche fortunata. Più di ogni altra cosa, però, la squadra di Simone Inzaghi eccelle laddove manca il Napoli di Mazzarri: nelle certezze rispetto a ciò che si deve fare con e senza palla. Non è una questione di moduli, o comunque non solo: i nerazzurri, al di là del loro 3-5-2/5-3-2, sanno allargare e stringere il campo a loro piacimento, hanno dei meccanismi offensivi mandati a memoria e concedono pochissimo, praticamente niente, quando gli avversari fanno attacco posizionale – ovvero puntano alla porta al termine di una loro fase di possesso, con la difesa schierata.
Il 4-3-3 che Mazzarri continua a far praticare al Napoli, non importa se sia o meno un sistema di gioco che conosce, contro l’Inter è risultato troppo prevedibile. E troppo legato alla capacità di recuperare il pallone con la riaggressione immediata. Si tratta di una dinamica di gioco che necessita di grande preparazione tattica e grande condizione fisica. Tutte cose che il Napoli, in questo momento, non possiede. A causa delle macerie lasciate da Garcia, ma anche per oggettiva impossibilità, da parte di Mazzarri, di incidere davvero sulla sua nuova squadra. E allora servirebbe qualcosa di nuovo, e/o di diverso, considerando anche l’emergenza relativa al terzino sinistro. Mazzarri l’aveva anche estratta dal cilindro, questa nuova idea. Poi però è stata accantonata quasi subito. A causa della dittatura del 4-3-3.
Il grande ritorno della difesa a tre
Nei primi minuti di partita, Napoli e Inter si sono equivalse. Anzi, il Napoli è sembrato anche in grado di mettere in difficoltà la squadra nerazzurra. Non per le due occasioni di Elmas e Politano, entrambe sono due conclusioni da fuori inevitabilmente estemporanee, ma per la capacità di accorciare velocemente il campo difensivo e per la fluidità del sistema di gioco disegnato da Mazzarri. Che in teoria ha risolto l’emergenza del terzino sinistro schierando Natan da quella parte e Ostigard come centrale, ma nella realtà ha fatto qualcosa di leggermente diverso: si è inventato un Napoli in grado di “scivolare” e cambiare modulo. Di passare dal 4-3-3 canonico al 3-4-3 in fase di impostazione.
Due momenti in cui il Napoli è scivolato a impostare con il modulo 3-4-3
Come si vede chiaramente da questi screen, gli uomini-cuneo tra i due sistemi sono Natan, ovviamente, ed Elmas. Con il brasiliano bloccato sulla stessa linea di Ostigard e Rrahmani, i suoi compiti come laterale sinistro d’appoggio venivano assolti da Elmas. Oppure da Kvaratskhelia, che scambiava la sua posizione col macedone. Così si determinavano, nell’ordine: la superiorità numerica in fase di costruzione rispetto ai due attaccanti dell’Inter, almeno fino al primo pressing portato da Barella o Mkhitaryan; dei duelli uno contro uno a tutto campo, visto che a quel punto i quattro centrocampisti e i tre difensori dell’Inter erano in parità numerica con i quattro centrocampisti e i tre attaccanti del Napoli.
In fase di non possesso, invece, il Napoli si è schierato con il suo consueto 4-5-1: Natan scalava di nuovo nel suo slot più o meno naturale di terzino sinistro, Elmas tornava a fare la mezzala e Kvara seguiva Dumfries e/o Barella sul fianco sinistro:
Il solito Napoli
Nel primo tempo, questo atteggiamento ha effettivamente messo in difficoltà l’Inter. A dirlo sono i numeri: all’intervallo, il Napoli è risultato superiore ai nerazzurri in tutti gli indicatori, dai tiri tentati (8-5) al possesso palla (58%-42%) passando per i dribbling tentati (8-3) e persino i duelli aerei vinti (9-8). Come detto in precedenza, oltre alla mossa tattica a sorpresa relativa alla difesa a tre, la squadra di Mazzarri è riuscita a rimanere stretta e compatta, pur tenendo il baricentro alto (a 55 metri). In alcuni frangenti della gara, soprattutto tra il 15esimo e la mezz’ora di gioco, il Napoli ha dato l’impressione di aver capito come schiacciare l’Inter. E cioè attraverso una pressione ben organizzata e ben portata, che ha costretto i nerazzurri a perdere i riferimenti necessari a risalire il campo in modo pulito.
Una buona pressione alta
Il Napoli, a causa di una condizione fisica ancora precaria, è riuscito a giocare in questo modo soltanto in alcuni momenti. A folate, avrebbero scritto i giornalisti sportivi di un’altra epoca. L’Inter è stata brava a resistere, a rimanere ordinata. Poi, nell’ultimo segmento del primo tempo, la squadra nerazzurra ha mostrato le sue qualità migliori: Lautaro ha prima sfiorato il vantaggio con una conclusione ravvicinata ben contenuta da Meret, poi lo stesso attaccante argentino è andato a lottare su una palla a metà campo e così è partita un’azione che, dopo la conduzione di Thuram e il cross di Dimarco, ha portato quattro giocatori dell’Inter in area (Mkhitaryan, Lautaro, Dumfries e Barella) più Cahlanoglu a rimorchio.
Al netto del contatto dubbio a centrocampo tra Lobotka e Lautaro, cioè del momento che di fatto ha dato il via all’azione dell’Inter, va evidenziato come il Napoli sia una squadra spaccata in due. Certo, in realtà – come si vede sotto – tutto parte da una rimessa dal fondo, quindi da una situazione statica, ma è vero pure che gli uomini di Mazzarri hanno fatto fatica a rientrare in modo preciso, si sono dilatati troppo sul campo. E così la marcatura in area sul cross di Dimarco è stata poco efficace.
Un’azione in tre frame; il Napoli che tiene il baricentro alto sul rinvio dal fondo, la voragine che si crea a centrocampo dopo che Martínez si impadronisce della palla, i quattro giocatori dell’Iner che riempiono l’area di rigore.
Un solo tiro
L’inizio della ripresa cancella in pochi istanti tutte le buone sensazioni trasmesse dal Napoli nei primi 45 minuti di gioco. Merito anche dell’Inter, rientrata in campo dopo l’intervallo con un piglio diverso, più autoritario, ovviamente fortificata dal vantaggio acquisito grazie al gol di Cahlanoglu. Non a caso, viene da dire, solo un passaggio leggermente fuori misura di Mkhitaryan ha impedito a Barella di segnare il gol del raddoppio dopo pochi secondi. Cos’era cambiato, rispetto al primo tempo? Semplice: il Napoli ha rinunciato completamente a qualsiasi tipo di variante tattica, è tornato in campo disponendosi col canonico 4-3-3/4-5-1 e ha passato tutto il tempo di gioco a fare possesso sterile. Oppure a sbattere, letteralmente, sulle catene laterali ben presidiate dai giocatori dell’Inter.
Le statistiche, certe volte, valgono più di mille parole: a fine partita, tanto per gradire, è venuto fuori che la squadra di Mazzarri ha costruito addirittura il 54% delle sue azioni sulla destra, più il 27% sulla sinistra. Sì, esatto: solo il 19% delle azioni del Napoli è passato per la fascia centrale del campo, laddove la manovra può diventare più verticale, più veloce. Più imprevedibile. Se poi a tutto questo aggiungiamo che Osimhen è stato ben marcato da Acerbi e non è – perché non può essere – al top della condizione, allora viene fuori che per l’Inter è stato facilissimo difendere contro il Napoli.
Pochi istanti dal fischio d’inizio della ripresa, e il Napoli è di nuovo la squadra di sempre
La conseguenza di tutto questo è che l’unica azione degna di nota costruita dal Napoli, sempre se consideriamo il periodo dal minuto 46′ al minuto 68′, è quella che porta al tiro di Kvaratskhelia contenuto (splendidamente) da Sommer. La ricorderete tutti, perché il portiere svizzero è stato davvero eccezionale. E perché pochi istanti prima si è verificato anche l’altro episodio dubbio che ha acceso il dibattito arbitrale su Napoli-Inter, vale a dire l’intervento di Acerbi su Osimhen in area di rigore. Al netto delle polemiche, però, il pallone è finito tra i piedi dell’esterno georgiano e poi è stato deviato in modo decisivo dal numero uno dell’Inter. A posteriori, possiamo definirla come una azione di confusione.
Il gol sarebbe stato ugualmente valido, ma i fatti restano: quella è l’unica e ultima volta, prima che il risultato si compromettesse in modo definitivo, che gli uomini di Mazzarri hanno creato i presupposti per fare gol. Ripetiamo, per chi non avesse capito: in tutta la prima metà del secondo tempo, il Napoli ha tirato una sola volta verso la porta di Sommer. L’unica altra conclusione tentata dalla squadra di Mazzarri è stata una rovesciata di Osimhen contenuta benissimo da Acerbi. Stop, basta. Fine delle trasmissioni. Ecco perché abbiamo parlato di 4-3-3 prevedibile, in apertura. Ma potremmo usare altri aggettivi: monocorde, stantio, già visto, già metabolizzato da una squadra tatticamente preparata come l’Inter.
Il Napoli preso a pallate
Il gol dello 0-2 ha praticamente messo fine alla partita tattica. Da quando Barella è entrato in porta col pallone, al termine di un’azione costruita dall’Inter con grande abnegazione e un pizzico di fortuna, visto che la palla sbatte casualmente su Politano e poi sul tacco di Carlos Augusto prima di finire a Lautaro Martínez, il Napoli ha perso completamente ogni tipo di distanze. La squadra di Mazzarri è letteralmente crollata dal punto di vista tattico, fisico ed emotivo.
I numeri, in questo senso, sono eloquenti: tra il minuto 60′ e il minuto 80′, il computo dei tiri ha detto 5-1 in favore dell’Inter. E non sono stati tiri come tutti gli altri: il Napoli, infatti, è stato letteralmente travolto, è stato preso a pallate. Soltanto l’imprecisione di Lautaro e di Barella ha evitato che i nerazzurri trovassero il terzo gol ancora prima del tempo. Ecco a voi altri numeri, anche questi piuttosto significativi: sempre considerando il segmento tra il minuto 60′ e il minuto 80′, i giocatori dell’Inter hanno tenuto di più il pallone (52%), hanno stravinto la sfida dei contrasti (addirittura 7-0) e anche quella dei dribbling (3-1).
Mazzarri ha provato a cambiare qualcosa con le sostituzioni. L’ingresso di Raspadori al posto di Politano ha determinato il passaggio al 4-4-2. Poi c’è stato il doppio cambio Zielinski/Lindstrom per Elmas/Lobotka, per cercare di rendere ancora più offensiva la squadra. Missione compiuta: dieci minuti dopo, un Napoli ormai totalmente scollato si è fatto toreare per un minuto e mezzo e poi è bastata un’apertura di Barella per trovare Cuadrado solo sulla destra. Cross al centro, indecisione tra Meret, Ostigard e Rrahmani e palla sui piedi di Thuram. A porta spalancata.
Conclusioni
Potremmo stare ore a parlare di errori individuali e collettivi nei frangenti di difesa posizionale, di singole situazioni che non funzionano. E lo stesso discorso vale per gli episodi controversi e/o per quelli che girano male. La verità, però, è molto più semplice, molto più cruda. La verità è che il Napoli, in questo momento, è una squadra priva di reali certezze tattiche. L’unico riferimento che ha, ma solo perché in qualche modo viene imposto dall’alto, è l’utilizzo del 4-3-3.
Ora sappiamo tutti, più o meno, che il calcio contemporaneo va decisamente al di là del semplice e puro modulo di partenza. Ciò che determina davvero il gioco di una squadra sta nei principi che adotta. Ebbene, è proprio questo il punto: al 4 dicembre 2023, il Napoli si ostina a voler giocare un calcio che non conosce più. E che, per altro, non può assolutamente praticare, visto che manca un vero terzino sinistro, visto che la preparazione fisica è insufficiente, visto che mancano le energie per accorciare sempre il campo, visto che Osimhem non ha ancora la brillantezza adatta per poter strappare e quindi allungare le difese avversarie, visto che finora Mazzarri è riuscito a lavorare su pochissimi meccanismi di possesso, per di più tutti semplici e facilmente leggibili, e così ha dovuto ripiegare sul vecchio che avanza non appena sono iniziate le difficoltà.
Se la prima partita contro l’Atalanta aveva offerto dei segnali incoraggianti, quelle contro Real Madrid e Inter hanno certificato che Mazzarri ha ancora tantissimo su cui lavorare. Certo, pesano anche la caratura e l’esperienza degli avversari, la stanchezza accumulata nelle ultime settimane, la tensione, la rabbia per l’andamento negativo. Proprio in virtù di tutto questo, però, è francamente assurdo continuare a incaponirsi su degli obiettivi che in questo momento, semplicemente, non sono raggiungibili. E allora tutti – giocatori, allenatore, persino De Laurentiis – dovrebbero fare un passo indietro e accettare di andare verso nuovi orizzonti. O magari aspettare che arrivino partite e tempi più propizi. Il 4-3-3 di Spalletti e/o anche di Sarri non possono rimanere un ombrello eterno sotto cui ripararsi appena inizia a piovere.