Lunga intervista al figlio di Enzo che racconta la tristezza della sua incertezza sul padre e sul cognome da cui però oggi si è affrancato
Maurizio Crosetti sul Venerdì di Repubblica intervista oggi Piero Ferrari, il figlio oramai 78enne di Enzo, nello studio a Maranello dove è cominciato il sogno Ferrari. Si comincia parlando proprio della famiglia
Nel film di Michael Mann, si parla per la prima volta della sua condizione di figlio nato fuori dal matrimonio.QuelbambinodinomePiero a un certo punto chiede alla madre: “Io mi chiamo Piero Lardi o Piero Ferrari?”.
«È stata per me una domanda centrale. Quel bambino, fino all’età di undici anni non sapeva che il suo papà avesse un’altra moglie e un altro figlio. Io sapevo soltanto che papà non dormiva tutte le notti a casa, e che faceva macchine da corsa e gran turismo – già allora un sogno per tutti. Mi sentivo normale, anche se io non sapevo, mentre quasi tutti sapevano».
Vorrebbe che Enzo Ferrari avesse fatto di più per quel bambino?
«Francamente no. Era presente, mi amava, mi seguiva, mi faceva tanti regali. Ricordo quando andavamo in auto a Rimini, lui era stato un pilota e correva forte, ancora rivedo i colpi secchi che dava nelle cambiate. Non ho davvero niente da rimproverargli. Ha fattoquellochehapotuto,ecomunque ha fatto molto».
La figura di sua madre, Lina Lardi, è centrale. Da piccolo, come ricorda quella persona che doveva dividere con un’altra donna l’uomo che amava?
«Mamma doveva accettare la situazione e viverla senza fare troppi drammi. Papà aveva una moglie e un altro figlio, Dino, legittimo. Invece io ero a tutti gli effetti illegale. Mia madre af- frontò con dolcezza anche i problemi. Nel film la si descrive più che altro come una casalinga, non si vede la sua vita conviviale, quando era sempre elegantissima e bellissima».
Torniamo al cognome. Quando divenne il suo?
«Soltanto nel 1979, però accostato a quello di mia madre: infatti mi chiamai Piero Lardi Ferrari. Del resto era stata la condizione posta da Laura, la moglie di papà:“Il ragazzino non dovrà chiamarsi Ferrari finché sarò viva io”. Laura Garello morì nel 1978, e tre anni prima era stato riformato il diritto di famiglia. So che mio padre non poteva darmi prima il suo cognome, per rispetto di Dino. Però, adesso posso dirlo, non era facile chiamarsi Lardi quando tutti sapevano chi fosse mio padre».
Suo padre ha amato molto anche Villeneuve.
«Lo criticava solo per i rischi non necessari che si prendeva, però Gilles gli piaceva tanto. Arrivò in Ferrari con appena un gran premio di Formula 1 alle spalle, e subito capimmo che avrebbe cavato il cento per cento da ogni vettura. Guidava come un pazzo. Una volta, in autostrada dal Principato verso Genova, a bordo di una Ferrari 308 spinta a manetta fece apposta un testacoda per entrare contromano in una stazione di servizio che aveva saltato, perché l’auto era in riserva. Quando prese il brevetto per gli elicot- teri, volava a vista da Montecarlo a Maranello, seguendo il corso dell’autostrada e scendendo di quota per leggere i cartelli stradali».
Disse un giorno suo padre: “Il prezzo del successo può essere terribile”. È andata davvero così?
«Per lui lo è stato: uno slalom tra gloria e tragedie, ma alla fine ha vinto».
E lei, ingegnere, che cosa pensa di essere?
«Non solo il cognome che porto».