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Spalletti moriva dalla voglia di dire ai giornalisti che non capiscono niente di calcio

Va a Sky e in soldoni dice: “parlate del nulla, non capite nulla. Il calcio non è solo con la palla”. Dategli una trasmissione: farebbe il botto di ascolti

Spalletti moriva dalla voglia di dire ai giornalisti che non capiscono niente di calcio
Italy's coach Luciano Spalletti looks on ahead of the Euro 2024 football tournament group C qualifying match between Italy and Ukraine, at Stadio San Siro in Milan, on September 12, 2023. (Photo by Gabriel BOUYS / AFP)

È caldo Spalletti. Si capisce subito. Forse deve anche sfogare la tensione per l’incontro ravvicinato con Aurelio De Laurentiis, incontro apparentemente tutto rose e fiori. Ma la tensione si avverte. Sin da quando sul palco oscilla dolcemente testa e mani in senso di diniego per prendere le distanze dalla frase sull’amore e la libertà che la giornalista Federica Masolin sta ingenuamente utilizzando per descrivere l’addio tra lui e De Laurentiis. Lei osserva le torsioni del ct, capisce immediatamente che si sta avventurando su un terreno accidentato ed esclama «Ah no?». Non lascia passare più di un nanosecondo: frena all’istante, lascia mezzo pneumatico a terra e fa inversione a U. Domanda di riserva e sospirone di sollievo. La serata fila liscia. Più o meno.

Perché poi Luciano va a sedersi agli sgabelloni a parlare di calcio. Ma non ha alcuna voglia di perdere tempo con frasi fatte. Vuole i tackle. Vuole la carne viva. Muore dalla voglia di parlare. Di esprimere concetti che tiene in corpo da una vita. Comincia così: «A me nessuno ha regalato niente, non ero amico di Condò che mi faceva le interviste, sono sempre stato sulle scatole a qualsiasi tipo di giornalista, avevo fatto una scelta, mi divertiva anche, ora no poiché sono alla Nazionale». E Paolo Condò, che è lì al suo fianco, glissa seguendo il metodo Masolin.

Non è ancora abbastanza per il commissario tecnico. Incalza Costacurta: «Billy dai, parliamo di campo», come a dire: almeno tu, non farmi perdere tempo con cazzate. Costacurta la domanda gliela pone anche, sui centrali difensivi in costruzione che nella Nazionale sono tutti mancini ma è pinzimonio, non sazia. Luciano è lì per altro. Per dire chiaro e tondo che i giornalisti di calcio non capiscono niente. Che guardano il film (ossia le partite) senza capirlo e che, di conseguenza, i loro fiumi di parole (per dirla con i bistrattati Jalisse) sono inutili. Che il calcio è altro rispetto a quello riempie quotidianamente giornali, tv, Internet. E lo spiega molto semplicemente: «voi parlate solo del gesto tecnico. Valutate solo chi ha la palla. Ma i calciatori sono bifasici, si gioca con la palla e senza palla. Tutti devono saper giocare e tutti devono saper fare la fase difensiva. Giocatori che non hanno quella completezza lì, vanno in difficoltà. Poi quello che ha la palla è uno, parlate qualche volta anche di questo. Non mi piace che valutiate sempre il possessore di palla e basta, è troppo facile». Come a dire: ce la menate con lo stop, il tiro al volo, il colpo di tacco ma non vi soffermate voi su chi quel pallone è andato a recuperarlo magari con una corsa di trenta metri. È un concetto molto caro a Spalletti. A Roma una volta mostrò un recupero difensivo di Salah. A Napoli spiegò quasi a brutto muso che Kvaratskhelia le grandi giocate poteva permettersele perché qualcuno andava a recuperare i palloni per lui.

Poi lambisce un grande tema: le critiche (pochissime per la verità) ricevute per la sconfitta a Wembley. È un passaggio che a Sky Sport, travolti da quel flusso di coscienza alla Joyce, non riescono a intercettare. Ma non è facile, perché Spalletti ogni quattro parole apre una parentesi che conduce in un’altra dimensione e non sempre si riesce tornare al punto di partenza. E così appende un «non mi piace» che secondo noi è collegato alle critiche ricevute per quei due gol incassati (in maniera balorda peraltro). Sarebbe un discorso che condurrebbe al caro vecchio calcio all’italiana. Ma quel momento si perde. Per fortuna non si perde la verve di Luciano. Che insiste: «Se si prende due gol come si è preso dall’Inghilterra, che si fa? È un vantaggio o no andare a pressare e far fare a loro la pallata? Questo vuol dire parlare di pallone, bisogna andare nel calcio giocato. E non difendere l’allenatore con cui si hanno relazioni». Aridaglie. Il giornalismo di relazione.

«Vi mancano pezzi importanti se guardate solo il gioco con la palla, così non capite le mie convocazioni, in base a cosa scelgo la responsabilità di dar loro la maglia della Nazionale». Questo è il succo finale: quando criticate, criticate a schiovere perché non avete gli strumenti per decodificare le mie valutazioni. Di fatto a Sky Spalletti – oltre a scrivere una pagina di tv che andrebbe trasmessa almeno tre volte alla settimana – spiega perché Bielsa non concede mai interviste individuali. Perché non considera alcun giornalista all’altezza di parlare con lui. Persino Kubrick aveva un giornalista (recentemente scomparso) di cui più o meno si fidava. Bielsa neanche uno. E forse nemmeno Spalletti, anche se apparentemente qualcuno lo ha.

Dopo ieri sera, però, sarebbe un delitto non offrirgli uno spazio in tv. Lui, da solo (o con qualcuno bravissimo o bravissima che sappia ridurre il proprio protagonismo al minimo): un’ora, un’ora e mezza alla settimana. A raccontare e spiegare il calcio ma non quello da copertina. Il calcio vero. A briglie sciolte. Magari rispondendo anche alle domande di campo – ovviamente selezionate – degli ascoltatori Farebbe il botto di ascolti. Un mare di pubblicità. I suoi silenzi. Le sue invettive. I suoi elogi. E qui per brevità non abbiamo nuovamente riportato quel che ha detto di Zaniolo, Donnarumma, del sacrificio, dell’impegno.

Post scriptum

A fine serata, ovviamente i giornalisti di Sky Sport si saranno guardati in faccia e qualcuno di loro avrà pronunciato la frase: «Vi è chiaro che cosa ci ha detto per tutto il tempo?»

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