In lizza anche La zona di interesse di Glazer, Perfect Days di Wenders, La società della neve di Bayona, The Teachers’ Lounge di Çatak
Garrone nella cinquina degli Oscar con “Io capitano”, sfiderà Wim Wenders.
Matteo Garrone è regista candidato agli Oscar: il suo film Io Capitano, titolo italiano scelto per competere nella categoria Miglior film straniero, è stato incluso nella cinquina dei nominati per la statuetta. Gli altri film sono: La zona di interesse di Jonathan Glazer (Gran Bretagna), Perfect Days di Wim Wenders (Giappone), La società della neve di J.A. Bayona (Spagna), The Teachers’ Lounge di Ilker Çatak (Germania). La serata di premiazione di terrà il 10 marzo 2024.
Io capitano di Garrone è un inno alla vita (Aiello, il Napolista)
Può sembrare strano ma “Io Capitano” – il film di Matteo Garrone che ha brillato a Venezia80 (miglior regista, migliore attore in Seydou Sarr), ed è stato candidato dall’Academy italiana a rappresentarci all’Oscar – è un inno alla vita. E un plauso va fatto non solo a Garrone, ma anche a Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri e al nostro Massimo Gaudioso che questo film l’hanno materialmente scritto partendo dalla letteratura omerica – orale – dei sopravvissuti.
Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fal) sono due ragazzi senegalesi che da Dakar in Senegal decidono di raggiungere l’Europa per aiutare la propria famiglia, e che partono all’insaputa dei parenti, perché Seydou ha il sogno di diventare una star musicale. Il viaggio si trasforma in un’Odissea capitalistica che da Agades in Niger dopo avere attraversato il Sahara li porta in Libia e a finire nei campi di concentramento della mafia libica. I due vengono separati nel deserto e si ritrovano poi a Tripoli dove per aiutare il cugino Moussa ferito alla gamba Seydou si trasforma in uno scafista involontario che vuole arrivare in Sicilia.
Le immagini di questa traversata – sorta di riffa del dolore – le lasciamo ai tanti che avranno la ventura di vedere il film in sala. Le vicissitudini di questa marea umana di disperati vengono nobilitate dalla fotografia di Paolo Carnera che bene narra il dolore, la sofferenza, il dramma inumano della tortura, che però non riesce a spegnere il fulgore dell’umanità che è vicinanza, afflato, responsabilità verso l’altro, qualunque altro.
E Garrone trova il modo di rendere questa nuova Auschwitz viaggiante con delle inserzioni oniriche che nobilitano la tenera arte dell’immaginazione sognante che amputa le ferite dell’abbandono. Lo vedranno quelli che credono che si possa fermare un flusso umano che è spinto con la stessa logica capitalistica ad approdare nella nostra Europa che fa guerre in casa spinta da un’altra logica di potere e denaro?
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