Non esiste un modulo infallibile. Il Napoli ha schiantato la Fiorentina con nove giocatori dietro la linea della palla, inaccettabile per gli esteti
Il catenaccio ha il suo fascino: il fascino dell’assedio (Mazzarri ce lo ha fatto riscoprire)
Finale all’Inter, al Napoli rimane il prestigio e la sorpresa di un gioco concreto e spettacolare a modo suo. Come sempre decide l’arbitro. Mazzarri incazzato. De Laurentiis diplomatico. Il catenaccio come modulo, alla pari con i nerazzurri dopo aver battuto i Viola.
Il catenaccio? Un successo.
C’era una volta Vittorio Pozzo, allenatore dell’Italia ai tempi della guerra, inventore del ‘catenaccio’ e di una filosofia calcistica. La sua teoria sfiorava l’antropologia. Visto che i calciatori italiani erano carenti sul piano fisico e non riuscivano a dominare il campo, occorreva arroccare la squadra principalmente in difesa e attaccare con azioni veloci e in contropiede. L’Italia di Pozzo riscosse notevoli successi (mondiali 1934 e 1938, oro olimpico 1936). Per squadre di club, in coppa campioni, ci pensò l’italianista e difensivista Helenio Herrera (1965) a rinverdire le scorribande a cento all’ora di Mazzola, Jair, Facchetti e via discorrendo e vincendo il titolo. Il “sinistro” Corso non faceva parte dei velocisti, ma sopperiva col suo piede fatato.
Il Carosello dei moduli
Nel corso del secolo il catenaccio è stato una sorta di Calimero, famoso pupazzo pubblicitario del Carosello mondiale del calcio. Gioco scarno, asciutto come un buon vino rosso, schemi di gioco in apparenza soccombenti, ma pronti a ferire le difese avversarie. Il pulcino piccolo e nero contro il Campo largo del gioco spettacolare, arioso, con tanto di game-pressing e minuti contati dell’offesa e difesa. L’attacco comincia dal portiere e dalla ‘costruzione dal basso’. Oggi è diventato il pensiero unico del calcio internazionale.
La vittoria dell’Inter ingorda e cortese
Contro questa ideologia ha dovuto battersi il Napoli alle prese con la Viola uguale a se stessa e al suo modulo offensivo, questo sì soccombente di fronte al catenaccio (perché così si chiama) del sempreverde Mazzarri. Tre reti all’attivo e un gioco ‘vecchio’ capace di stranire gli avversari. Poi la famigerata finale col solito arbitro guastafeste, che espelle al solito ultimo minuto per un fallo veniale il numero nove del Napoli, poi l’inevitabile gol del solito Lautaro Martinez e la solita vittoria ingorda con parole di cortesia di Simone Inzaghi.
Tutti indietro, ma non è vero
Intendiamoci. Non esiste un modulo infallibile. Il Napoli ha stravinto, in alcune fasi di gioco, con nove giocatori dietro la linea della palla, un catenaccio schietto e incisivo, secondo schemi di gioco, brutti per i cultori delle grandi bellezze, eccitanti per chi ama il rischio dell’assedio. Ambedue fruttuosi se si gioca bene monsieur de La Palisse.