Sergio Gabossi a Relevo: «La sua idea di calcio era troppo avanzata per noi. Era troppo sicuro di sé e questo irritò i media»
“De Zerbi ha il Dna del Barcellona“, lo scrive il giornale spagnolo Relevo. E in effetti l’italiano è uno dei candidati a prendere il posto in panchina di Xavi, che a fine stagione lascerà i blaugrana.
Relevo ha raccolto alcune dichiarazioni di coloro che hanno conosciuto De Zerbi ai suoi esordi da allenatore.
«Credo che Roberto de Zerbi, originario di queste parti, abbia qualcosa di Carletto», dice Sergio Gabossi, allenatore del Darfo Terme , squadra della provincia di Brescia che milita nella quinta divisione italiana. Iniziava proprio lì la favola di chi oggi è considerato un candidato per la panchina del Barça. Una storia senza fate, maledetta e autentica. Senza patti con la moralità.
«La storia di Roberto qui è curiosa e piena di emozioni. La ricordo come se fosse ieri. Roberto ha chiuso la sua carriera da calciatore nel 2013, al Trento. Eravamo in Serie D da sei anni. Iniziammo quella stagione con un altro allenatore (Aldo Nicolini), che era convinto che fossimo una squadra di metà classifica. L’inizio fu disastroso: il 17 novembre perdemmo 2-1 a Bergamo contro il Pontisola», ricorda Sergio Gabossi, oggi braccio destro dell’attuale presidente Walter Venturi. «Un giorno dopo la sconfitta, il giovane De Zerbi, poco più che trentenne, arriva nelle mani dell’allora direttore sportivo (Giancarlo Maffezzoni). Lo conoscevamo dai suoi anni nel calcio italiano, ma tutti ci chiedevamo perché accettò le redini di un club così piccolo, nonostante fosse la sua prima esperienza da allenatore».
«De Zerbi aveva un’idea di calcio troppo avanzata per noi»
«Abbiamo scoperto che sua madre era della Val Camonica, non lontano da qui. Per questo ha accettato di partire da noi . C’era attesa, ma abbiamo perso l’esordio contro il Seriate (1-0). Delle prime cinque partite abbiamo giocato solo ne vinse una: 1-2 fuori casa contro il potentissimo Lecco. Incredibile, perché non eravamo nessuno. Dopo un dibattito molto acceso con il nostro direttore sportivo, la sorpresa fu che l’allora presidente -Ennio Bandini- licenziò Maffezzoni e diede carta bianca a Roberto, anche in termini di acquisti. Arrivarono Daniel Bradaschia, Pasquale Scielzo e Walter Guerra, tra gli altri… E quello che sembrava l’inizio di una meravigliosa avventura si concluse con una debacle totale. 22 partite, cinque vittorie e altrettanti pareggi. Dodici sconfitte! E sai perché? Perché la sua idea di calcio era troppo avanzata per noi. Voleva correre come una Ferrari, senza sapere che eravamo un Seicento».
«Lui era spericolato e geniale. Il suo calcio indomabile era enorme, ma non avevamo i pezzi per farlo come avrebbe voluto lui».
«Era troppo sicuro di sé e questo irritò i media. Aveva un carattere forte. Mandava i giornalisti a quel paese. Gli consigliavamo di essere di non essere testardo… Ha continuato con la sua idea di Calcio: costruzione da dietro, movimenti rapidi e pressing alto. Abbiamo perso quasi sempre, ma è stato bellissimo perché andavamo a vincere in casa di tutti, anche della capolista. Pro Sesto, della Pro Piacento…», ricorda Sergio, l’uomo che c’era e c’è , dove Roberto De Zerbi iniziò la sua carriera.