La lingua è viva, mutevole, si contamina. Sin dal placito di Capua. In Francia i testi di rapper come IAM, Booba non hanno il vocabolario di Molière
Geolier, la lingua è viva, mutevole, si contamina. Sin dal placito di Capua
Dall’epoca del placito di Capua la lingua è qualcosa di vivo che sfugge pervicacemente alle regole. I monaci benedettini che nell’Alto Medioevo disquisivano sui confini delle proprietà dell’abbazia benedettina scrivevano in un linguaggio che assomigliava molto più alla vulgata quotidiana del popolino piuttosto che al latino aulico dei giuristi e dei copisti. Il famosissimo “Sao ko kelle terre” ne è una lampante dimostrazione. Ci dice semplicemente che la prima frase della letteratura italiana era una frase della strada, in una sorta di dialetto volgare scomposto formato con le parole usate ogni giorno dal volgo e trascritte cosi come venivano pronunciate, senza ristrettezze fonetiche, una lingua non certo emanazione di un dell’élite o di un’accademia linguistica dell’epoca. Lo stesso Dante avrebbe voluto usare la langue d’oc per scrivere la sua Commedia ma poi optò per il volgare perché più malleabile, più duttile, perché dava la possibilità ad un pittore delle parole come Il Poeta di usare più chiaroscuri, di scendere nelle profondità dell’animo umano, perché il volgare era più vicino alla molteplicità di registri stilistici che avrebbe usato. Dante accantonò la lingua aulica dei clerici vagantes per privilegiare quella del volgo, della strada se vogliamo.
In Francia i rapper non hanno il vocabolario di Molière
Venendo al napoletano di Geolier, se pensiamo ad esempio al napoletano degli Alma Megretta che ci ha accompagnato negli anni ’90 e 2000 e che ci ha fatto ballare ad Officina99 ed imparare le canzoni a memoria, (pensiamo a “Fattallà” pezzo stupendo) non era certo un napoletano eduardiano. La lingua che usava Raiz, cosi come la lingua usata dai 99 Posse e più tardi anche dai Co’ Sang, Luché, Lucariello, era forse la lingua napoletana ortodossa? Non è piuttosto un’evoluzione del napoletano classico mescolato con la lingua della strada e rivisitato attraverso il rap, l’hip hop ed il dub dei massive attack? Il linguaggio della strada è crudo, tagliato, lo è anche l’inglese dei Wu Tang, Black Knights, Fool G Rap, the RZA rispetto all’inglese classico. In Francia i testi di rapper come IAM, Booba hanno decine di parole provenienti dalla strada (inventate, argot oppure provenienti dall’arabo o da altre lingue) che non esistono nel vocabolario di Molière e nemmeno nel lessico di Edith Piaf o Brassens. Se leggiamo i testi dei Wu Tang, solo una parte è inglese “classico”, il resto è lingua della strada, viva, tagliente, eclettica, refrattaria a qualunque regola.
È una contraddizione chiedere a Geolier un linguaggio accademico
È proprio questo il bello delle lingue, la loro vitalità, duttilità, il fatto di poter sfuggire all’ortodossia, di saper reinventarsi, piegarsi ad ogni contesto e situazione, cosi come accadde al Placito di Capua e ad altri testi della letteratura di tutti i tempi. Chiedere a questa lingua, argento vivo, di farsi imbrigliare, inquadrare, chiedere ad un artista di farsi “tradurre” in linguaggio accademico è una contraddizione in termini. Perderebbe la sua musicalità, diventerebbe esercizio stilistico grottesco. L’arte, anche linguistica, è libertà di movimento, sperimentazione. La lingua non nasce nelle accademie, nasce nelle strade e nel contesto variegato e stratificato di quest’ultime si evolve, senza fine.