Fu un’azione dimostrativa contro il presidente venezuelano. “Con i sequestratori passava il tempo giocando a carte, leggendo i giornali, spiluccando macedonia”

Questa mattina, Sportweek ha riproposto la storia del rapimento di Di Stefano, storica leggenda del Real Madrid. “È la mattina del 24 agosto 1963, siamo a Caracas, la capitale del Venezuela. Alfredo Di Stefano è stato rapito. La notizia fa il giro del mondo“.
Di Stefano, chiamato “Saeta Rubia, la Freccia Bionda, per via del colore dei capelli“, quel giorno si trova in tournée con il Real impegnato “nella “Pequeña Copa del Mundo”, a cui partecipano anche Porto e San Paolo“. Si tratta di un torneo estivo prima dell’inizio della stagione.
Di Stefano viene rapito a Caracas
Una mattina, un commando di tre uomini vestiti da militari bussano alla porta della sua stanza nell’Hotel Potomac.
“«Apra! Polizia!». Entrano nella stanza, lo immobilizzano. «Prenda le sue cose, deve seguirci»”. Per convincer Di Stefano a non fare mosse avventate gli mostrano una pistola nella fondina. L’operazione è molto veloce. Senza nemmeno rendersi conto, i tre finti militari e Di Stefano si ritrovano in strada. “Nessuno li ferma, non conviene a nessuno fare domande quando ci sono in giro militari”. In auto attraverso tutta la città di Caracas. Dopo venti minuti raggiungono un covo, ad attenderli un manipolo di dieci uomini.
“Gli tolgono la benda, lo fanno sedere. Nessuno lo minaccia, lo trattano cordialmente, quasi con riverenza. Lo rassicurano: «Non le faremo del male». Sembrano sinceri. «La nostra è un’azione dimostrativa». Il campione li guarda, non sa cosa dire. Chiede: «Avete capito chi sono?». Quando gli arriva la risposta, non sa se sentirsi sollevato o cominciare – sul serio – ad avere paura: «Non deve temere nulla, signor Di Stefano»”.
Un’azione dimostrativa delle “Forze Armate di Liberazione Nazionale del Venezuela”
A rapirlo sono i guerriglieri delle “Forze Armate di Liberazione Nazionale del Venezuela”, rivoluzionari filocastristi. Il suo rapimento è un atto dimostrativo, una protesta contro l’allora presidente del Venezuela. “«È uno schiavo degli Stati Uniti», dice uno di loro alzando la voce. «Si è fatto eleggere con l’imbroglio»“. Nel frattempo a Madrid, la moglie di Di Stefano scongiura i rapitori.
Di Stefano rimane in ostaggio per 56 ore. “Allo scoccare della mezzanotte del 26 agosto lo liberano, lasciandolo davanti all’ambasciata spagnola di Caracas“. Ai cronisti Alfredo Di Stefano racconta di non aver mai temuto per la sua incolumità. Ciò che temeva era “«l’irruzione della polizia nel covo e la conseguente sparatoria che ne sarebbe scaturita»“. Con i sequestratori passava il tempo giocando “a carte, leggendo i giornali, chiacchierando, spiluccando macedonia“. In una foto che finisce anche sui giornali, si vede il capo dei ribelli seduto a un tavolo insieme al campione del Real Madrid. “Di Stefano ha uno sguardo più sorpreso che rassegnato; Canales (il capo dei ribelli, ndr) ha la testa abbassata, stringe le mani, fissa un punto indistinto sul pavimento: l’ostaggio sembra lui“.