È il risultato che crea la narrazione. Il resto è aria fritta. Anche i totem della storia (da Sacchi a Guardiola) hanno vinto a culo ma nessuno lo ricorda
Napoli-Barcellona è il trionfo di sua maestà il risultato. Tutto il resto è noia
È stata una bella serata di calcio. Ed è stato particolarmente commovente che a contribuire a scriverla sia stato un allenatore che il buonismo giornalistico descrive come erede di Sarri e Spalletti. Una sorta di Bella Baxter, solo che invece del cervello di suo figlio morto, gli hanno fatto un impianto con le nozioni tattiche dei due toscanacci. In verità Calzona con Sarri si è lasciato male, non ci addentriamo sui perché e sui percome. La rottura risale all’ultimo anno di Sarri a Napoli. Calzona è un uomo che gode della fiducia di Aurelio De Laurentiis che pare abbia sacramentato ai quattro venti contro chi a novembre lo distolse dal pensiero calzoniano certo che la federazione gli avrebbe posto il veto. Ma allora le qualificazioni non erano concluse, quindi può essere che sarebbe andata così. Anche i rapporti con Spalletti andrebbero approfonditi. Ma il calcio chissà perché deve essere sempre narrato come l’altrove in cui tutti si vogliono bene, remano dalla stessa parte, sono legati in maniera indissolubile. Come faccia questa narrazione infantile a resistere, è uno dei misteri contemporanei. Piccolo, per carità. Insignificante. Ma sempre mistero resta.
In ogni caso a Calzona piace un certo tipo di calcio, come ormai quasi a tutti. Ma ieri il Napoli non era nelle condizioni di giocarlo, nemmeno di lasciarselo raccontare. E lui ne ha tenuto conto invece di andare incontro alla bella morte. Questa al paese nostro si chiama intelligenza. Il paragone non va fatto tra il Napoli di Spalletti (che pure perse 4-2 in casa col Barcellona) e quello di ieri sera; ma tra quello di ieri sera e il Napoli di sabato scorso che ha pareggiato nel finale contro il Genoa.
Oggi la stampa spagnola fa a pezzi il Napoli. Lo descrive come una squadraccia, incapace di tirare in porta per 75 minuti. Scrivono che il Barcellona non ha mai incontrato un avversario così debole. Può essere tutto vero e condivisibile, non lo neghiamo. Alla stampa spagnola, però, manca la conclusione del loro ragionamento. Se il Barcellona ha pareggiato 1-1 contro questa banda di scappati di casa, vuol dire che anche loro non se la passano tanto bene. Ci sentiamo estranei a questa visione contemporanea del football. Ad esempio non abbiamo per nulla condiviso i voti positivi a Yamal. Sapevamo che era forte ma ieri sera non lo è stato. Avrebbe potuto e dovuto far male al Napoli, invece per fortuna ha fatto solo il solletico. Vale la sostanza, non il fumo. Il Barça ha creato una vera occasione pericolosa, nel primo tempo, con Cancelo e Lewandowski. Ha segnato con un’azione da applausi. E poi c’è stato il tiro finale di Gundogan. Una squadra vera dopo venti minuti sarebbe stata in vantaggio tre a zero. Come infatti avvenne due anni fa in Europa League.
Il calcio è uno sport così affascinante non certo per le costruzioni dal basso, o per gli expected goals. Il calcio tiene tante persone incollate a stadi, tv, internet, grammofoni eccetera perché per settantacinque minuti una squadra ha il controllo della partita (ma domina solo nei primi venti), poi gli avversari al primo tiro fanno gol, persino in un’azione contestata. Perché oggi il calcio è considerato come il basket e quindi se tocchi l’avversario per qualcuno è fallo. Il Napoli non solo pareggia al primo tiro in porta ma poi rischia seriamente di vincerla. È la vita. Perciò il calcio fa godere. Perché è metafora di altro. Altrimenti nessuno guarderebbe questo sport che è fondamentalmente lungo e noioso (sono noiose anche le costruzioni dal basso).
Come dicono quelli che parlano bello, se avessimo tempo ci metteremmo a fare il debunking del Milan di Sacchi che sì è stato il 5-0 al Madrid o il 4-1 al Napoli ma è stato anche tanti 1-0 su rigore, partitacce con fallacci, vittorie in Coppa Italia senza consegnare il pallone agli avversari, nebbie scese su campi dove si stavano consumando le eliminazioni. Non abbiamo voglia, ci è passata. L’Arrigo ci è simpatico anche se si racconta come non è mai stato. Conosciamo il fenomeno, Mogol e Battisti ci fecero persino una canzone di discreto successo. La verità è che chi vince ha sempre ragione. Il mito di Ferguson è nato in una delle finali di Champions più incredibili della storia. Con due gol nel recupero, altrimenti quella coppa sarebbe meritatamente finita nella bacheca del Bayern. Potremmo proseguire all’infinito. Tanti sarebbero anche gli esempi del Napoli di Maradona. E a quelli del Barcellona ricordiamo che vinsero la Champions dopo una semifinale col Chelsea che definire rubata è un eufemismo: furono massacrati e aiutati in modo vergognoso dall’arbitro Ovrebo. Non ci pare che Guardiola a fine partita andò ai microfoni e disse che quella finale loro non l’avrebbero disputata. La disputò, la vinse e si portò alla casa la Coppa. Come farebbe qualsiasi allenatore di club accusato di aver falsato le regole per quasi un decennio.
È il risultato la stella polare. È sul risultato che si costruiscono narrazioni. È come la scena di Fantozzi al casinò col duca conte. Che stava facendo nel momento esatto in cui lui ha vinto? Stava bevendo acqua minerale gassata. E allora ne beva a volontà. Stava toccando il culo al duca conte? E allora che tocchi. Tra queste narrazioni c’è anche quella degli expected goals, di quelli che spiegano il calcio con le figure geometriche. Ci sta. Si sono conquistati un posto alla tavola. Noi ridiamo ma ci sta. Non arriviamo a sposare in toto la massima di Pino Daniele “’a vita è sulo culo rutto e niente cchiù”. Però diciamo che il nostro non si discostò poi tanto. Non è mai solo culo rotto. Ma quello serve. Anche ai migliori.
Ieri nel post partita Calzona ha fatto bene a tenere il punto sui principi. Non guarda in faccia a nessuno quando deve sostituire. Se tornasse indietro, Osimhen lo sostituirebbe un’altra volta. Ma non può non sapere che se lo avesse tolto dal campo un minuto prima, quel gol il Napoli non lo avrebbe segnato. Condividiamo le sue sostituzioni. Ma uno non vale uno, e lui lo sa. Sì Simeone ha avuto una buona chance ma Osimhen ha avuto un pallone e ha segnato. È proprio tutta un’altra canzone. Un altro film.
Ecco perché, fossimo nel Barcellona, oggi ci preoccuperemmo e non poco. Hanno gettato alle ortiche l’occasione di chiudere la sfida. E, come ricordava Gianni Mura, in questi casi può succedere che la carta si indigni. Nel calcio regna incontrastato sua maestà il risultato. Tutto il resto, come disse il noto filosofo contemporaneo scomparso nel 2013, è noia.