E’ morto domenica. Il suo “ragazzi di stadio” è un cult quasi introvabile: colse il passaggio dalla lotta operaia alla protesta da stadio
Daniele Segre è morto domenica scorsa. Un regista documentarista sociale con una carriera lunghissima, per il cinema e per il teatro. Le sue opere sono state acclamate nei festival internazionali a cominciare dalla Mostra del Cinema di Venezia. So Foot gli dedica un pezzo ricordando il suo lavoro “calcistico”, che ha declinato raccontando gli ultras. In particolare quelli della scena torinese (era piemontese), di Juventus e Torino.
Le sue foto contribuirono a cambiare la percezione del fenomeno, alla fine degli anni 70. Furono pubblicate nel 1980 in un libro, “Ragazzi di stadio”, oggi cult quanto introvabile.
Nel 2011 la rivista francese lo aveva intervistato chiedendogli tra l’altro la ragione dell’impatto del suo lavoro: “Perché per la prima volta non criminalizzavamo i tifosi. Non sono presentati come il male assoluto. L’occhio dello spettatore non è assolutamente guidato verso un’idea del male, non ci sono scorciatoie, come a volte sanno fare i giornalisti. Le foto rappresentano semplicemente i personaggi in sé e per sé, con la complessità della loro esistenza, senza dire è bello o è brutto”.
Le sue foto, scrive So Foot, “non riguardavano solo il calcio. Parlavano di un’epoca e di un Paese in completo sconvolgimento. Era la prima volta che questo veniva raccontato attraverso il prisma di uno stadio di calcio e dei suoi tifosi più veementi. È stato incredibile”.
Segre ha iniziato il suo lavoro fotografico sugli ultras perché incuriosito dai graffiti che si moltiplicavano sui muri di Torino alla fine degli anni 70. Un tag lo aveva segnato più di un altro: “il potere dev’essere bianconero in bianco e nero”, un giorno del 1977. Dieci anni prima, nel 1968, i manifestanti gridavano il potere dev’essere operaio. “Come siamo passati dall’uno all’altro? Era questa mutazione che mi interessava. Più di ogni altra cosa, questa mutazione testimoniava, credo, una certa confusione tra i giovani dell’epoca, una confusione che era anche la mia”.
Per due anni Segre ha frequentato gli Juventus Fighters e gli Ultras Torino. Vede giovani del sottoproletariato mescolarsi con l’alta borghesia, alcuni tendenti all’estrema sinistra, altri all’estrema destra. Segre è ovunque: nei cortei, nei preparativi dei tifosi, negli incontri settimanali, partecipa anche a certe traferta. E, quando ha la sensazione che stia succedendo qualcosa, tira fuori la sua Nikon e scatta, come se nulla fosse successo. Il libro diventerà un documentario, altrettanto iconico.
I tifosi lo interessavano perché erano ai margini della società, continua So Foot. I fragili e gli emarginati, queste sono le persone di cui si è preoccupato per tutta la vita. Si dice che i suoi film siano “cinema della realtà” perché lui era in contatto con la realtà e Segre non inventava nulla. Quarant’anni dopo il suo primo Ragazzi di stadio, documenta di nuovo gli ultras bianconeri, questa volta concentrandosi sui Drughi.