I precedenti fanno pensare a una soluzione più severa. In caso di condanna il futuro di Acerbi all’Inter si complicherebbe parecchio
Acerbi razzismo, per la condanna basta la presunzione di colpevolezza. Lo ricorda la Gazzetta dello Sport con Elisabetta Esposito.
È chiaro che una prova che accertasse la matrice razzista delle parole di Acerbi non lascerebbe alcun dubbio al Giudice sportivo, che a quel punto infliggerebbe quelle «almeno dieci» giornate di squalifica previste dall’art. 28 del Codice di Giustizia Sportiva. Ma va ricordato che in casi simili, proprio per il peso morale, sociale e politico del tema al centro della
discussione, è spesso bastata la presunzione di colpevolezza per arrivare a una stangata. È vero, la possibilità che il Giudice possa virare sull’art. 39, quello sulla condotta gravemente antisportiva che prevede una sanzione più ridotta (due giornate che potrebbero arrivare a 4-5 con eventuali aggravanti), esiste, ma i precedenti – soprattutto quelli più recenti – fanno pensare a una soluzione più severa. Gli ultimi tra casi dal 2020 in poi, tra Serie B e Lega Pro, non hanno mai portato a meno di dieci giornate di squalifica, anche in assenza di prove che certificassero il gesto razzista. E se così fosse, il futuro di Francesco Acerbi all’Inter si complicherebbe parecchio: il club non ha alcune intenzione di essere in alcun modo collegato al termine «razzismo». E se stangata davvero sarà, il club ha già pensato tutte le mosse per scaricare il suo giocatore.
Cucci Acerbi e il razzismo
Razzismo, quanta leggerezza delle istituzioni sportive, come se fosse roba da bar sport. Ne scrive Italo Cucci sul Corriere dello Sport.
“Vorrei tacere ma non posso perché – anche se sono un privato cittadino, perdippiù giornalista… di una volta – non voglio imitare i federali della Figc e i leghisti della Lega Calcio che stanno affrontando il problema con indolenza e leggerezza come se fosse roba da Bar Sport”. Scrive così Italo Cucci sul Corriere dello Sport in risposta ad alcune lettere sul caso Acerbi-Juan Jesus e razzismo. Attacca le istituzioni sportive
“Dicevo della colpevole leggerezza delle istituzioni sportive (nessun mondo è senza peccato) che non fanno di tutto, anche con durezza, per distinguersi dalle istituzioni politiche tolleranti e da quelle accademiche incoraggianti che di questi tempi ridanno vita all’antisemitismo di strada e di piazza, di cortei e adunate, un razzismo “banale”, come si diceva, prodotto da una maleducazione tollerata se non nutrita. Il calcio per fortuna non è quello degli Acerbi, non cattivi ma sciocchi, superficiali, quelli che preoccupano anche Spalletti se è vero che si ripropone di offrire una semplice quanto disattesa educazione di gruppo agli Azzurri”.
Conclude con un racconto istruttivo e un’esortazione
“Tanti anni fa – novembre 1985 – andammo con la Nazionale di Bearzot a Katowice per giocare contro la Polonia e raccontai una importante storia azzurra. Alla vigilia del match mi venne in mente di chiedere in hotel quanto fossimo lontani da Auschwitz. Fecero gli gnorri, poi un inserviente cubano mi mostrò una cartina: Oswięcim. Era a pochi chilometri, era Auschwitz, i polacchi preferivano ignorare quello che oggi viene ampiamente documentato dal film “La zona d’interesse” di Glazer. Ne parlai con Enzo e tutti visitammo quel luogo d’orrori nazisti. E non solo. Al ritorno lanciai in tv prima d’altri una proposta: portate gli studenti a visitare Auschwitz, impareranno a quali livelli di malvagità può condurre il razzismo. Il suggerimento è sempre valido. Anche per i calciatori”.