Stavolta la Procura di Torino non si è fermata all’anticamera ma ha intercettato, perquisito e trovato facilmente le carte: gli Elkann non se l’aspettavano
Agnelli, è finito il mito dell’intoccabilità: mai la magistratura aveva osato tanto. Lo scrive Maurizio Belpietro direttore del quotidiano La Verità. Il quale ricorda come persino i pm di Tangentopoli non ebbero il coraggio di osare:
Perfino i pm di Tangentopoli si fermarono in anticamera, rinunciando a varcare la sottile linea rossa che collegava il sistema politico agli Agnelli. La magistratura si accontentò infatti delle parole con cui l’Avvocato circoscrisse la corruzione, che era servita al gruppo Fiat per finanziare illecitamente i partiti, a pochi e isolati episodi.
Ecco cosa scrive Belpietro:
Proprio per questo, l’inchiesta con cui la Procura di Torino sta indagando per evasione fiscale gli eredi Agnelli, ramo Elkann, è ancora più sorprendente. Mai nella storia della Fiat la magistratura aveva osato tanto. I pm si erano sempre fermati prima, in anticamera appunto, senza cioè mai ordinare perquisizioni in casa, senza mai disporre intercettazioni troppo invasive, rinunciando anche a sentire i collaboratori più stretti. Stavolta no, la Procura non è andata per il sottile, spingendosi fino a
frugare nei caveau di famiglia e senza risparmiare segretarie, avvocati, consulenti. E infatti, quello che emerge è un colpo al cuore. Non per noi, che non consideriamo inviolabile nessun santuario, ma per una famiglia che a lungo è stata considerata la più potente d’Italia. Lo so, a Torino dispongono di eserciti di avvocati e di battaglioni di esperti, come si è visto di recente con un ricorso al tribunale del Riesame, che ha annullato parte dei sequestri effettuati. Tuttavia, per la prima volta, il potere
degli Agnelli, ramo Elkann, è messo in discussione.
L’inchiesta infatti, rischia di far vacillare perfino la poltrona di John, il nipote prediletto dell’Avvocato, che nonostante l’età, è di fatto il capo della dinastia, lo stratega della ritirata d’Italia e della difesa delle retrovie con la stampa di sinistra (leggi Repubblica e La Stampa).
Per la prima volta nella storia secolare della Fiat, la magistratura non si è limitata all’anticamera, ma è scesa anche negli scantinati degli Agnelli e le carte che escono dagli archivi di famiglia sono sorprendenti per almeno due motivi. Il primo è che alzano il velo sulle operazioni messe in campo per attestare che Marella fosse cittadina svizzera nonostante vivesse in Italia. E il secondo è che i documenti erano lì, a portata di mano, senza che nessuno si fosse preso la briga di occultarli. Segno evidente che a Torino si sentivano intoccabili e nessuno pensava seriamente che per un pm fosse immaginabile una perquisizione o un’intercettazione.