L’avvocato Chiacchio alla Gazzetta. onere della prova è invertito, dovrà convincere i giudici di non aver mai detto negro
«È Acerbi a dover dimostrare la propria innocenza, nella giustizia sportiva basta un indizio per condannare»
Eduardo Chiacchio, avvocato esperto di diritto sportivo, alla Gazzetta dello Sport ricorda e chiarisce che la giustizia sportiva funziona in maniera diversa rispetto a quella ordinaria.
«Si aspetta l’attività investigativa della procura federale a cui il giudice sportivo ha trasmesso gli atti: dopo che riceverà la relazione, sarà lo stesso giudice a decidere. È probabile che durante le indagini vengano sentiti non solo i due giocatori, ma anche l’arbitro e gli altri calciatori che erano nei paraggi. Tutto a partire da un caposaldo, che non sempre è chiaro a tutti: per condannare in un giudizio sportivo non è necessaria la prova oltre ogni ragionevole dubbio, ma basta un indizio con un grado di probabilità superiore alla media».
Acerbi nega di aver avuto intenti razzisti: quale la strada della sua difesa?
«È una strada stretta, non si parla di intenti e non ci si può appellare al fatto che sia la propria parola contro quella dell’altro. Sempre in base ai presupposti della giustizia sportiva, l’unico elemento da dimostrare è se abbia pronunciato o meno la famosa espressione: “negro”. Il giudice valuterà tutto come da prassi, anche i comportamenti del giocatore precedenti e successivi al fatto. Si chiederà anche perché Juan Jesus avrebbe mai dovuto riferire un fatto non vero. E ricordiamoci che l’onere probatorio è invertito, è Acerbi a dover dimostrare la propria estraneità ai fatti».
Ci sono dei precedenti a riguardo?
«Uno l’ho seguito io, è un baluardo nei casi di presunto razzismo. Claudio Santini del Padova ‘21 dovette scontare 10 giornate e bastò una denuncia, anche se piena di dubbi e incertezze, del giocatore offeso e la testimonianza di un compagno cambiata pure in progress. Oggi fa giurisprudenza».