Non mi meraviglierei se Calzona tra pochi mesi lottasse per vincere il quarto sigillo della storia, che grazie a D’Annunzio chiamiamo Scudetto.
I CAMPIONATI DI CALCIO SONO COME IL CINEMA
«Il guaio è che gli uomini studiano come allungare la vita, quando invece bisognerebbe allargarla.»
L’errore che fanno (quasi) tutti gli appassionati di calcio è quello di ragionare col retaggio di un tempo ormai passato. Il pallone non è più soggetto alle date dei calendari dell’anno in corso. Le date servono soltanto alle piattaforme e forse alle televisioni. I festival del Cinema, ad esempio, durante (e dopo) la pandemia si sono adeguati velocemente all’impasse degli eventi che inevitabilmente saltavano per via delle continue disposizioni del Governo. Come? Allargandosi permanentemente. Una rassegna oggi mantiene comunque il proprio epicentro in un periodo specifico. È pacifico. Però, può permettersi di esistere per 365 giorni filati attraverso eventi paralleli. Programmando in prospettiva presente e futura.
Luciano De Crescenzo l’aveva previsto nel lontano 1988. Nell’aria si avvertiva ancora la prima affermazione nell’albo d’oro del Napoli. Guarda caso col tricolore sul petto. Durante il quale ci fu, però, il primo patatràc di Diego & soci a favore del Milan “olandese” di Gullit. Eppure nulla impedì di “allargare la vita” ai partenopei del presidente Corrado Ferlaino. Infatti l’anno successivo arrivò la Coppa Uefa di Stoccarda insieme a un super campionato appena dietro l’Inter “tedesca” dei record. Nel 1990 pre-Mondiale lo sfizio di ribaltare i rossoneri, di cui sopra, allenati da Arrigo Sacchi chiuse il cerchio col secondo titolo della storia. Dunque, “32 Dicembre” dice(va) il vero. «Il tempo è un’emozione. Ed è una grandezza bidimensionale. Nel senso che lo puoi vivere in due direzioni diverse: in lunghezza e in larghezza. Se lo vivete in lunghezza, in modo monotono, sempre uguale, dopo 60 anni voi avete 60 anni. Se invece lo vivi in larghezza, con alti e bassi, innamorandoti… Magari facendo pure qualche sciocchezza, allora, dopo 60 anni avrai solo 30 anni.»
La squadra di Aurelio De Laurentiis dovrebbe far tesoro della filosofia hegeliana accennata a Sergio Solli e a Benedetto Casillo dal professor Gennaro Bellavista in trasferta psichiatrica. «Hegel diceva: “Il tempo è l’Essere che, quando è, non è, e quando non è, è”.» In fondo le “milanesi”, dal recente stop del cosiddetto “dominio” juventino post Calciopoli, fanno ciclo. Nel loro piccolo conquistano punti e qualche trofeo. A prescindere da dove si piazzino di volta in volta nella classifica. Gli uomini di Simone Inzaghi, uno bravo senza fare il fenomeno, dodici mesi fa stavano nelle condizioni attuali di Kvaratskhelia e Mario Rui. Ma erano forti già. Principalmente nella testa. Laddove il risultato gli scivolava via, mentre gigioneggiavano persino con Salernitana e Empoli, rimanevano un brutto cliente da affrontare in Italia e in Europa. Perché giocano bene (suppergiù) da quella finale persa 3-2 in Europa League da Antonio Conte col Siviglia. La Roma, pian piano, inizia a procedere sulla stessa stregua. Almeno a livello europeo e al netto delle proporzioni. Mantenendo in ogni caso l’entusiasmo sano (lo stadio sempre pieno certifica) che nemmeno vuole scorgere magagne legate a ripetute difficoltà di mercato e campo. Mourinho o De Rossi in panca, quel che conta davvero resta la maglia. E un po’ di pazienza. Per questo non mi meraviglierei, “anzi spero” canterebbe Battisti, se Francesco Calzona tra pochi mesi lottasse per vincere il quarto sigillo della storia, che grazie a Gabriele D’Annunzio ci ostiniamo a chiamare Scudetto.
I giorni che verranno saranno assai migliori. A patto di essere uomini, tifosi, sul serio. Jorge Valdano, che con Maradona si dava il “tu” dei campioni del mondo, a Osimhen insegnerebbe come (ri)fare meglio gol. Lo ha raccontato nel sogno di “Futbolandia”. Che non prevede numeri, solamente cuore: «Quel fondo di fascismo che si annida dietro la filosofia del risultato è tipico di gente che divide il mondo in dominatori e dominati.»