Brutta la frase sull’eccesso di pubblicità: il razzismo non è la Playstation. Ci è piaciuta l’Inter. Acerbi assolto per la legge ma l’etichetta gli rimarrà
Il razzismo non è materia da tifo. Ci ha fatto male più Spalletti che la sentenza di assoluzione
La vecchia formula “insufficienza di prove”. Acerbi viene per così dire assolto dall’accusa di aver rivolto frasi razziste nei confronti di Juan Jesus. Dal punto di vista giuridico, il giudice sportivo Mastrandrea si arrende di fronte alla completa assenza di prove oltre a quelle racchiuse dalla versione di Juan Jesus. Mastrandrea scrive che, vista l’eventuale pena particolarmente gravosa
occorre nondimeno, e a fortiori, che l’irrogazione di sanzioni così gravose sia corrispondentemente assistita da un benché minimo corredo probatorio, o quanto meno da indizi gravi, precisi e concordanti in modo da raggiungere al riguardo una ragionevole certezza.
Non ci sono testimoni né prove audio né prove video.
Qualsiasi commento a questa storia deve secondo noi prescindere dal tifo. Devono o quantomeno dovrebbero esistere pre-requisiti comuni per tutti quelli che partecipano a vario titolo all’universo calcio. La lotta al razzismo è certamente uno di questi pre-requisiti. Tifare per la condanna o l’innocenza a seconda della maglia indossata dal calciatore è un atteggiamento che ci fa orrore.
È il motivo per cui a nostro avviso è inutile parlare di vergogna, o di asservimento ai presunti poteri forti (ma esistono poteri deboli?) del calcio italiano. Il giudice Mastrandrea è stato fin troppo chiaro. Non ci sono prove né indizi sufficienti per comminare una pena tanto pesante (dieci giornate). E ha scelto – secondo noi persino giustamente – di evitare la classica soluzione all’italiana con un compromesso di fatto: tre-quattro giornate di squalifica e un colpo al cerchio e uno alla botte.
Acerbi assolto. Che sia una vittoria per il difensore, è tutto da dimostrare. Giuridicamente sì. Non tutto si risolve in un’aula di tribunale. Bisognerebbe verificare in percentuale quante persone credano realmente che lui quelle frasi non le abbia mai pronunciate. E magari quante persone possano realmente aver creduto che lui abbia detto: «Ti faccio nero». Ecco, Acerbi avrebbe meritato la condanna per il solo motivo di aver immaginato di rivolgersi a una platea di idioti. Perché solo un idiota può credere a questa versione. La verità è che le stimmate del razzista gli resteranno addosso, piaccia o meno. È una storia che ha segnato i protagonisti e anche il calcio italiano che di certo non brilla per sensibilità nei confronti del razzismo e delle discriminazioni in genere.
A noi qui interessa fare brevi osservazioni in relazione alle due squadre di Acerbi: l’Inter e la Nazionale.
A noi il comportamento dell’Inter è piaciuto. Ci è parso il comportamento di chi la faccia non ce la mette sulla non colpevolezza del proprio tesserato. Giustamente non ha ritenuto credibile la sua versione. È rimasto in attesa della decisione ufficiale. E neanche dopo ha emesso un comunicato. Non c’è nulla da festeggiare né da celebrare. Vedremo se e quanta vita avrà il difensore in nerazzurro.
Diverso il discorso per la Nazionale e per il suo allenatore Luciano Spalletti. Loro una posizione l’hanno presa, hanno creduto alla versione di Acerbi. Lo hanno rimandato a casa sì ma per la serenità sua e della Nazionale. Poi, Spalletti ha pronunciato anche dichiarazioni a dir poco spiacevoli. “Secondo me a livello di pubblicità siamo forse sopra quello che è avvenuto nella realtà” che è proprio una brutta frase. Invita a non parlarne. A noi ha ricordato una frase pronunciata tantissimi anni fa in tv da Roberto Bettega allora dirigente della Juventus che dribblava una montagna di accuse che di lì a poco sarebbero confluite in Calciopoli.
Di razzismo bisogna parlarne. Sempre. H24. E se un calciatore è accusato di aver chiamato negro un avversario, è una vicenda schifosa di cui va discusso a reti unificate. A meno di non considerare il razzismo un tema meno importante dell’overdose di Playstation: argomento che sembra essere molto caro al ct della Nazionale italiana.
La decisione del giudice sportivo si può discutere. Criticare. Ha una sua ratio, anche se disconosce precedenti del calcio italiano (che avevano comportato condanne anche in caso di insufficienza di prove). Ma i comportamenti tenuti in questa vicenda resteranno. L’assoluzione è una questione puramente giuridica. Non arriviamo a dire marginale ma non è tutto. Il caso Acerbi-Juan Jesus ha fotografato lo stato di salute della coscienza civica del calcio italiano. E ci siamo imbattuti in non poche sorprese.