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Kilde e la sua vita sulla sedie a rotelle da 6 settimane: «Non sento le dita dei piedi, lavoro per alzarmi»

Lo sciatore alla Faz dopo la terribile caduta di Wengen: «Ho pubblicato la foto della gamba perché pensavano che stessi bene. Quest’anno troppi incidenti»

Kilde e la sua vita sulla sedie a rotelle da 6 settimane: «Non sento le dita dei piedi, lavoro per alzarmi»
Norway's Aleksander Aamodt Kilde lies on the snow after crashing during the Downhill of the FIS Alpine Skiing Men's World Cup event in Wengen on January 13, 2024. (Photo by Marco BERTORELLO / AFP)

La Faz intervista Aleksander Aamodt Kilde lo sciatore norvegese (anche compagno di Mikaela Shiffrin) costretto su una sedia a rotelle dopo una rovinosa caduta

Signor Kilde, come sta?

«Ogni giorno è una nuova sfida. In generale, la sfida per me è alzarmi dalla sedia a rotelle. Ci lavoro ogni giorno. E il più rapidamente possibile. Allo stesso tempo, devo stare attento a non accelerare troppo. Se voglio troppo e troppo in fretta, potrei danneggiare i miei muscoli e i miei nervi. Ma ho delle persone preparate intorno a me che mi aiutano. Devo essere onesto con me stesso e dire: un passo alla volta».

Sei uno dei migliori sciatori al mondo, ora stai imparando di nuovo a camminare. Avresti mai pensato di trovarti in una situazione come questa?

«No, mai, ovviamente no. Lo sci è uno sport ad alto rischio, sapevo che cadere faceva parte del gioco e che potevo infortunarmi. Ma essere su una sedia a rotelle non è qualcosa che ti aspetti. È sicuramente una nuova esperienza e molto, molto difficile per me».

Sai per quanto tempo sarai dipendente dalla sedia a rotelle?

Kilde: «Sono passate ormai sei settimane dall’incidente (all’arrivo a Wengen il 13 gennaio, ndr). All’inizio della riabilitazione i terapisti mi dissero che dopo sei settimane sarei potuto stare in piedi da solo. Sto facendo progressi e penso che avrò bisogno della sedia a rotelle per altre due settimane, forse una settimana e mezza. Vedo la luce in fondo al tunnel. Ma serve pazienza. Non forzerò nulla, finirei per pentirmene».

Dopo essere caduto all’arrivo della discesa di Wengen e aver sbattuto a tutta velocità contro la barriera di sicurezza, i nervi della tua gamba destra sono stati recisi dalle lamine affilate degli sci?

«Sì, i nervi. Ma anche i muscoli. È un processo lungo. È diverso da qualsiasi cosa abbia mai avuto prima. Ecco perché è così difficile prevedere cosa accadrà in futuro. Non so come reagirà il muscolo e come si sentirà quando inizierò a muovermi normalmente. I nervi impiegheranno molto tempo. Soprattutto nel piede destro e nelle dita dei piedi. E non dimenticare la spalla. Ho avuto anche un grave infortunio alla spalla sinistra che ha richiesto un lungo intervento. Sono stati interessati anche alcuni nervi».

Hai pubblicato una foto della tua gamba dall’ospedale che mostrava la ferita aperta e sembrava molto drammatica. Perché lo hai fatto?

Kilde: «All’inizio le persone non sapevano cosa mi fosse successo. È stato comunicato che avevo solo un problema alla spalla e uno strappo alla gamba. Non era giusto. Tutti hanno detto: “È un bene che l’infortunio non sia troppo grave”. Non potevo sopportare quando la gente mi chiedeva se sarei tornato presto. Quindi ho pensato: «Ok, pubblicherò la foto». Per alcuni forse è stato troppo cruento. Ma era la realtà. La gente ha visto e ha capito: ci vuole tempo e ho potuto concentrarmi su ciò che era importante. Ecco perché ho pubblicato la foto».

«Ero malato la settimana prima. A Wengen le giornate sono state impegnative. Ho ottenuto due podi giovedì e venerdì. È stato stressante. E poi sabato è arrivata la discesa più lunga della Coppa del Mondo. Normalmente il mio fisico forte mi permette di sopportare la discesa fino al traguardo senza problemi. Ma questa volta il mio corpo non era pronto per le curve finali. E ora lo so: se il mio corpo non è in forma al 100%, allora è meglio non precipitarsi in una gara di due minuti e 40 secondi».

Quindi era il tuo corpo? Oppure è stato anche a causa del programma  con tre gare di velocità in tre giorni?

Kilde: «Un mix. Era un programma impegnativo, lo sanno tutti. E anche il programma serale con le cerimonie di premiazione ti mette alla prova. Non voglio incolpare nessuno: è un processo di apprendimento. Ma noi atleti dobbiamo assicurarci di rimanere in salute».

Ci sono stati tanti infortuni in questa stagione. È stata solo sfortuna?

«Tutti si rendono conto che questa stagione è stata speciale. Abbiamo visto molti sciatori forti cadere. Il che è molto raro e strano. Ecco perché è giunto il momento di pensare a cosa possiamo cambiare. È ora di dare un’occhiata al programma. Abbiamo troppe gare. Il programma collaterale è troppo ricco, soprattutto per i primi dieci atleti. Devi essere costantemente presente, hai tanti appuntamenti con i media, tanta pressione sulle spalle. Ovunque andiamo, organizzano eventi serali con lotterie di numeri di partenza, cerimonie di premiazione e brevi interviste. Di solito si comincia alle sette, sei molto richiesto, sei festeggiato, torni in albergo, è difficile prendere sonno. Ti svegli presto la mattina e poi vai a sciare. E lo fai ogni giorno: è dura».

Gli atleti più popolari godono anche della loro popolarità.

«Sì, naturalmente. Non sto dicendo che dobbiamo fermare quest’organizzazione ma possiamo migliorarlo. Non tutte le sere. Voglio anche mostrarmi ai miei tifosi. Ma nessuno vuole vedermi su una sedia a rotelle. Dobbiamo trovare l’equilibrio».

«Il tempo favorirà la guarigione. Ma in questo momento è molto difficile per me immaginare di gettarmi da una montagna a 150 chilometri orari».

Riesci a sentire tutte le parti del tuo corpo?

«Sì tranne le dita dei piedi. Vorrei sollevarli, ma non si sollevano, non ne ho la sensibilità. Ma guarirà anche quello».

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