Pensionotti e cammellone sono in semifinale di Champions. Da noi ebbero vita dura, un progetto massacrato dai tifosi e chiuso da De Laurentiis
Sono tre le vecchie conoscenze del Napoli di De Laurentiis sui quattro gradini più alti d’Europa: Carlo Ancelotti, Fabian Ruiz e Kim Min-Jae. L’ultimo, nostro (e suo) malgrado, dopo l’esperienza in Coppa d’Asia è oramai relegato ai margini del progetto di Tuchel al Bayern Monaco: un peccato, considerato l’indubbio valore del corazziere sudcoreano; gli altri due, invece, Ancelotti e Fabian, sono a tutti gli effetti tra i protagonisti di questa edizione della Champions League. È un fatto, e i fatti sono inopinabili.
Carletto è la kryptonite di Guardiola. L’ex tecnico del Napoli (sì, l’ex tecnico del Napoli: gonfiamocelo un po’ questo petto) è l’unico ad essere riuscito ad eliminare lo spagnolo in tre edizioni diverse della Champions League: dieci anni fa, due anni fa, quest’anno. Nei due precedenti, Ancelotti è poi riuscito nell’impresa di alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. Vedremo quest’anno.
A spulciare i social network, con le pagine sportive che giustamente pullulano d’elogi all’allenatore di Reggiolo, si nota che gli unici commenti dispregiativi verso la sua ennesima impresa sono dei napoletani. I cavalli di battaglia? Sempre gli stessi: il culo, il mazzo, la fortuna. Non è una novità: da queste parti, spesso, il successo – sovente osteggiato: più hai successo più ti schifano – viene concepito come il risultato di un miracolo, della provvidenza divina. Da un lato è folklore, e in una certa misura ha il suo fascino; dall’altro, anche basta: Ancelotti elimina Guardiola – o meglio, Ancelotti elimina un’altra volta Guardiola – perché vince la partita a scacchi, perché tesse l’unica strategia possibile per vincere. L’ha detto lui stesso: «si poteva vincere solo in questo modo». E l’ha fatto. Un’altra volta. Per dirla alla Britney Spears: «ops, he did it again».
Il bello è che anche a Napoli non dovremmo essere sorpresi. Ancelotti è un conoscitore del calcio, un professore. Un brand, un’eccellenza italiana. Ed anche a Napoli, nonostante mille problemi, ha dimostrato che la Champions è il suo giardino di casa. In quegli anni, spesso derubricati a fallimeeeeento senza analisi e pensieri lunghi, Ancelotti ha rispedito due volte in Inghilterra carichi di meraviglie i ragazzi terribili del Liverpool di Klopp, che erano un attimino un attimino una volta vicecampioni e una volta campioni d’Europa. Al primo anno segnò Insigne, al novantesimo; nella seconda occasione segnarono Dries Mertens e Fernando Llorente. Quelle vittorie furono il risultato di esperimenti tattici sagaci: i più attenti ricorderanno il sistema di gioco ibrido che permise al Napoli di tenere a bada i Reds, con Maksimovic che – parliamo della stagione 2018/2019, prima dell’arrivo di Di Lorenzo – agiva da finto terzino destro in fase di costruzione e da terzo centrale in fase passiva, e con il giovane Fabian Ruiz, appena arrivato dal Betis, che occupava la posizione di esterno sinistro larghissimo in fase difensiva e di mezzala di inserimento in fase d’attacco.
Fabian Ruiz, dicevamo. Un altro calciatore di classe sopraffina che a Napoli veniva considerato nulla di che. “Un cammellone“. Forse proprio perché considerato un uomo di Ancelotti e ancor di più di suo figlio Davide, per due anni vittima di shitstorms immotivate che non vale neanche la pena rammentare. Fabian è l’altra vecchia conoscenza azzurra che qualche sfizio, quest’anno, in Europa, se lo sta togliendo. E non era semplice né scontato, visto il rapporto difficile che l’andaluso aveva con Luis Enrique quando quest’ultimo allenava la Spagna – a proposito, come disse De Laurentiis? Menomale che Luis Enrique non è venuto (è primo con 10 punti sulla seconda in Ligue 1 e in semifinale di Champions League). Dopo qualche balbettio iniziale, probabilmente dovuto proprio alla necessità di ricucire con l’allenatore, Fabian è oggi un titolare del Paris Saint Germain. Contro la Real Sociedad agli ottavi prima e contro il Barcellona ai quarti poi ha giocato e ha giocato da grande protagonista, siglando due assist. Mica poco.
Sono fatti. E sono fatti che raccontano una verità che a Napoli si fa ancora fatica a guardare: quel progetto tecnico aveva senso, respiro, futuro. E l’errore enorme della proprietà del Napoli fu non avere il coraggio di portarlo avanti fino in fondo. Chissà come sarebbe andata con Ancelotti in panchina contro il Barcellona più scarso degli ultimi anni, che a Gattuso rifilò una quantità di pallette che preferiamo non ricordare. Probabilmente Carletto avrebbe rinunciato alla costruzione dal basso e non avrebbe fatto fare alla versione blaugrana più sbiadita di Messi e Suarez quello che volevano. Sarebbe stato accusato di difensivismo, certo. Ma avrebbe risposto con una semplice e imperturbabile alzata di sopracciglio.