A Fanpage: «Lo spagnolo, con una metafora ciclistica, è da Milano-Sanremo, mentre Sinner è da Giro d’Italia. Adattarsi alla terra rossa non è facile».
L’ex tennista Paolo Bertolucci ha parlato di Jannik Sinner e Carlos Alcaraz in un’intervista a Fanpage.
L’intervista a Bertolucci su Sinner e Alcaraz
Paolo, questa storia di Sinner e le difficoltà sulla terra rossa è reale, o è più una leggenda sulla scia dei risultati della scorsa stagione?
«Questo Sinner non è nemmeno lontanamente parente di quello dello scorso anno. Quello era ancora un ragazzo che doveva affermarsi del tutto, aveva delle buone basi ma forse si era caricato di troppe responsabilità. Soprattutto quando ha dovuto giocare sulla terra e soprattutto a Roma dove forse voleva strafare. Invece non era ancora pronto a sopportare un peso così importante. Se andiamo a vedere, il suo rendimento top probabilmente è a livello indoor, poi perde un 5% sull’erba e sul cemento, e un 10% sulla terra. Però stiamo guardando il pelo nell’uovo».
Qual è l’insidia principale per Sinner sulla terra rossa?
«Sulla terra il problema è che cambia il modo di correre, di scivolare. Cambiano gli appoggi, il timing sulla palla, la risposta ogni volta che tocca il terreno è diversa rispetto al cemento e all’indoor. Tutte queste cose comportano la necessità di adattamento. Per alcuni avviene quasi in automatico, altri fanno più fatica. Nadal per esempio faceva più fatica andando sull’erba, Federer sulla terra. Lo stesso Djokovic ha vinto meno volte il Roland Garros rispetto agli altri Slam. Non esiste il giocatore che rende al 100% dappertutto. L’avere però indoor, erba e cemento dalla propria parte, anche qualora ci fosse un rendimento leggermente inferiore sulla terra, rientrerebbe assolutamente nella normalità dei più grandi campioni, quindi non sarebbe un difetto».
Quanto ci mette un tennista per adeguarsi ad un cambio di superficie, passando dal cemento alla terra?
«Va valutato il fatto che Jannik ha finito domenica e ora metterà piede per la prima volta sulla terra rossa dopo Parigi dell’anno scorso: sono passati 10 mesi. Avrà pochi giorni, cinque al massimo, per adattarsi quel minimo che gli permetta di andare in campo ed esprimersi ad un buon livello. Poi vedremo cosa verrà fuori, se farà ancor più fatica visto che Monte Carlo è più lento rispetto a Roma e Parigi, ancor più rispetto a Madrid. Monte Carlo arriva troppo presto, magari troverà la condizione nei prossimi tornei. Questo è il torneo dove dovrebbe faticare di più per la pesantezza del campo, visto che ha anche piovuto fino a poche ore fa. E poi ripeto, dopo 10 mesi ha solo pochi giorni di tempo per acclimatarsi e trovare il giusto ritmo. Djokovic è due settimane che è lì che si allena. C’è grande differenza».
Parlando del dualismo tra Alcaraz e Sinner, come si rinnova il duello sulla terra rossa?
«Alcaraz è nato sulla terra e Sinner no, questo conta sicuramente. Carlos è più a suo agio da questo punto di vista. Poi come completezza tecnica lo spagnolo si fa preferire sulla punta del rendimento di una giornata o di un torneo. Lui, utilizzando una metafora ciclistica, è da ‘classica’, ovvero da Milano-Sanremo, mentre Sinner è da Giro d’Italia. A fine anno Sinner è più continuo, metodico e razionale. L’altro ha punte pazzesche che magari Sinner non raggiunge in quel giorno, ma è meno forte mentalmente e concreto perché cerca, a differenza di Jannik, quasi più lo spettacolo, l’effetto speciale e l’applauso del pubblico che non il punto in quel momento. È come se si dimenticasse qualche occasione del punteggio, che siamo per esempio 30-30 ed è importante solo il prossimo punto. Lui invece ci mette l’effetto speciale, con la mezza riga per l’applauso. Sinner invece no: lui in quella situazione vuole portare a casa il punto, non l’effetto speciale. E l’applauso se arriva bene, ma se non arriva se ne frega. D’altronde la concretezza prima era Nadal, la spettacolarità era Federer. È giusto che sia così, sennò sarebbero tutti uguali».