Non di corner, secondo me e secondo Pavese, ma di questo scempio, di questa gioia perduta prima di essere del tutto consumata
Di corner non si muore
Non si può non cominciare da una cosa che sanno anche i bambini: non si fa una sostituzione prima di un calcio d’angolo. Perché questa cosa la sanno anche i bambini? Perché gli allenatori ogni tanto lo spiegano. Se cambi un uomo prima di un corner si perdono le distanze, si creano scompensi, c’è sempre qualcuno che non sa dove mettersi, ed eccoci a Napoli-Roma. Gli azzurri stanno vincendo 2-1, manca pochissimo alla fine, calcio d’angolo per i giallorossi. A casa o allo stadio tutti temiamo, la Roma sui corner segna spesso. Calzona sa e toglie Traoré che era entrato da poco e mette Ostigard, che è un difensore, forte di testa, e così via. Questo deve aver pensato l’allenatore del Napoli, solo che ha scordato la premessa: mai, mai, mai. Infatti, la Roma segna, e mi pare troppo semplice prendersela con il solo Di Lorenzo che sbaglia il fuorigioco, di quanto lo sbaglia? Di qualche millimetro, centimetro. Fatto sta che nessuno sa dove si trovi Ostigard, e che Abraham – al primo gol dell’anno – è da solo. Ah, eccolo, il nostro Osti è inutilmente sul primo palo, insieme ad altri a guardare Pellegrini che gira intorno e Cristante che gira largo. Disorientamento. Rrhamani si fa anticipare da Ndicka (contento che stia bene) e il centravanti inglese è da solo, perduto da Anguissa, da tutti, libero di colpire da pochi metri. Disorientamento.
Peccato, il Napoli ha giocato una bella partita e meritava di vincere. Però quanti gol sbagliati, troppi. Il portiere della Roma è stato eccezionale, ma i calciatori del Napoli hanno fallito spesso per poca tranquillità, succede quando non sei calmo, quando non lo sei più.
Anche chi guardava la partita non era sereno, in cuor nostro sapevamo – dopo averne viste così tante quest’anno, così incredibili – che il peggio non sarebbe stato scongiurato se non con il fischio finale, e infatti. Il Napoli ha giocato bene, dicevamo, ma il campo della sfortuna, della disfatta, stringe le porte, allarga i portieri, benda gli occhi di chi tira. Che dobbiamo fare? Niente. Bisogna aspettare che finisca, finirà. La prossima stagione deve solo arrivare, e, per fortuna, sarà qualcosa che ancora non conosciamo, quando non sappiamo, speriamo. Staremo a vedere.
Di corner non si muore ma di disastri difensivi sì. Disastri lunghi un campionato, disattenzioni, errori banali, incertezze, orrori.
Di corner non si muore ma di imprecisione sì. Tocchi fuori misura, poco movimento, dribbling forzati, stop ridicoli.
Di corner non si muore ma di incertezze sì: Non sapere dove mettersi, non ricordarsi dove sarà il compagno, dove dovrebbe essere, pensare di proporsi ma poi non farlo, sovrapporsi per nessuno, abbassare la testa, rialzarla quando è troppo tardi.
Di corner non si muore ma di troppi allenatori sì.
Di corner non si muore ma di follie presidenziali sì.
Di corner non si muore ma di malinconia diffusa sì. E questa malinconia che comincia azzurra e poi sbiadisce e diventa celeste, celestina, bianco grigia e poi solo grigia non ce la meritavamo.
Di corner non si muore ma di tristezza da lacrime, da lutto, da trascuratezza, da dimenticanza sì
Cesare Pavese nel Mestiere di vivere ha scritto: «Eppure è semplice. Quando non si resiste più, si muore. E voilà». Non di corner, secondo me e secondo Pavese, ma di questo scempio, di questa gioia perduta prima di essere del tutto consumata.