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Gigi D’Agostino: «Quando ero malato mi hanno scartato, è stato un gesto di discriminazione, mi sono sentito difettoso»

A Repubblica: «Io ho cominciato quando il dj era un lavoratore della discoteca al pari degli altri, al pari del barista. A un certo punto è arrivato internet»

Gigi D’Agostino: «Quando ero malato mi hanno scartato, è stato un gesto di discriminazione, mi sono sentito difettoso»

Repubblica intervista Gigi D’Agostino, nel periodo d’oro delle discoteche italiane, negli anni Novanta, il Capitano, come lo chiamano tutti, è stato uno dei re delle piste da ballo. Poi, dopo anni di sperimentazione e di serate al Woodstock, al Palace e all’Ultimo Impero di Torino, D’Agostino è entrato nel gotha dei dj più famosi al mondo. Grazie a successi come In my mind (più di 1 miliardo e 400 milioni di ascolti su Spotify) e L’amour toujours (430 milioni), ha imposto l’Italia nella mappa della musica elettronica internazionale. Ora tornerà in pista dopo 4 anni di lontananza forzata causa malattia.

Come sono stati questi quattro anni?

«C’è stato il dolce e l’amaro. Quando succedono certe cose tutto diventa buio e rimani da solo, in tanti si eclissano. Il mio problema principale era però il dolore, quindi queste cose le ho pensate soltanto quando ne sono uscito. Il colpo basso, davvero orribile, un vero sciacallaggio, l’ho subito da un festival austriaco di musica elettronica in cui avrei dovuto suonare nel luglio 2022: ero pronto ma hanno rifiutato la mia presenza annunciando al pubblico che stavo male. Mi hanno scartato, è stato un gesto di discriminazione, mi sono sentito difettoso. Da lì sono andato in tilt e mi sono chiuso sempre di più. Per fortuna è arrivata la proposta di Sanremo che mi ha illuminato, sono riuscito a ripartire».

La musica l’ha aiutata a guarire?«Ne sono certo. C’è qualcosa di inspiegabile legato alle vibrazioni e alle frequenze. Credo che la mente riceva le forze che lei stessa genera: questo loop magico è l’infinito del bene. Io con la musica mi ci sono curato più e più volte».

Intorno alla sua musica c’è sempre stato un certo snobismo, la definivano commerciale, quasi uno stigma…«È l’ipocrisia che si ripete in tutte le forme d’arte: la musica che si vende è per questo più brutta, di basso livello o di scarsa qualità? Per me esiste solo musica che ti emoziona e musica che invece ti annoia».

Oggi i dj sono diventati delle rockstar, un mondo dorato«È un mondo dorato ma spesso anche sopravvalutato. Io ho cominciato quando il dj era un lavoratore della discoteca al pari degli altri, al pari del barista. A un certo punto è arrivato internet, un fattore per dare più colore e risonanza ai dj: con il montaggio dei video si mettono in risalto le qualità e si nascondono i difetti».

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