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Il Napolista, il risultatismo, Sarri, Allegri, Garcia e Mourinho. Le domande di un lettore (e le nostre risposte)

Cinque domande sulla diversa visione del calcio e non solo. L’avversione napolista per quelli che “il mio calcio” e che parlano di valori

Il Napolista, il risultatismo, Sarri, Allegri, Garcia e Mourinho. Le domande di un lettore (e le nostre risposte)
Db Torino 02/02/2023 - Coppa Italia / Juventus-Lazio / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Massimiliano Allegri-Maurizio Sarri

Carissimo direttore Gallo, ogni tanto mi piace confrontarmi con lei, paradossalmente proprio perché abbiamo visioni diametralmente opposte del calcio, ma più precisamente di quelli che lei definisce aspetti “politici” ed io forse definirei “filosofici”. Continuo a leggere sempre i suoi commenti (anche se spessissimo mi fanno quasi arrabbiare) perché almeno sono fuori dal coro del popolo.

Ormai prossimi ai bilanci di fine stagione, provo a farLe alcune domande riguardo le correlazioni (e non) fra “filosofia” (o “politica”) e risultati.

1. Entrambi abbiamo stima e forse anche simpatia per Mourinho, ma come giudica il confronto imbarazzante con i risultati di De Rossi? Forse l’ex capitan futuro della Roma scalfisce un po’ le sue convinzioni su quel gruppo di allenatori ex calciatori, alcuni ex campioni del mondo, o no?

2. Mi sembra di capire che qualsiasi cambiamento rispetto al passato, persino rispetto all’anno scorso, sia sempre salutato da lei come un fatto positivo. Persino alcuni (per me incomprensibili) “cambiamenti” più o meno ventilati da Garcia erano stati da lei salutati con piacere “a prescindere”. La domanda è: perché? Nel calcio non esistono né devono esistere (concordo) “religioni”, ma un cambiamento non si dovrebbe giudicare “ex post” a seconda dell’efficacia?

3. Mi pare evidente che lei verso Sarri provi un’avversione viscerale, che spazia dalla “politica” all’idea di calcio passando per qualsiasi dichiarazione faccia, ma mi spiega perché vede col fumo negli occhi qualsiasi nostalgia per gli aspetti squisitamente tecnici di quegli anni, come se i risultati fossero stati paragonabili a quelli, che ne so, di Donadoni?

4. Recentemente ho finalmente letto una sua critica ad Allegri, relativa alla maleducazione post partita e non alle prestazioni della sua squadra. Ma davvero un triennio in cui se gli va benissimo avrà vinto al massimo una coppa Italia (alla guida di una rosa con quei costi) non le farebbe venire il dubbio che ormai si tratti di un allenatore potentemente sopravvalutato?

5. L’ultima domanda riguarda proprio il “risultatismo” di cui lei mi sembra di capire sia un seguace: a quale tipo di spettacolo un “risultatista” spera di assistere quando guarda le partite? Che vinca 1-0 la squadra che tira meno in porta e si difende meglio?

Per concludere, neanche io sono particolarmente entusiasta del probabile arrivo di Italiano, ma non lo ero neanche quando arrivò Spalletti quindi non faccio testo. Però per me l’emblema del calcio che mi repelle è la vittoria della Juventus a Firenze di questa stagione, quando Szczesny ironicamente disse “abbiamo sofferto solo per 89 minuti”, speculare alla soddisfazione al gol di Marusic ieri a 10 secondi dalla fine. Immagino che anche in questi due casi le sue reazioni siano state opposte.

Spero che abbia letto fin qui, che non si sia annoiato troppo e magari che trovi addirittura il tempo per darmi una delle Sue pungenti risposte, che in ogni caso sono sempre “food for thought”.

Buona Pasqua
Davide Ambrogi

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LA RISPOSTA DEL NAPOLISTA

Carissimo Davide, innanzitutto auguri e grazie per la sua lettera così ricca, interessante e soprattutto educata. È un piacere risponderle, anzi la ringrazio perché mi dà modo di esprimere idee e pensieri che altrimenti non avrei scritto. Procedo per punti.

1. Questione De Rossi. È innegabile che l’avvento di De Rossi sulla panchina della Roma abbia stravolto, in positivo, la stagione della Roma. Al momento Mourinho ne esce ahimé piuttosto ridimensionato. Una mia spiegazione, forse faziosa, sta nel rapporto poco felice che il portoghese aveva con alcuni elementi della squadra che al suo addio hanno cominciato a giocare. In ogni caso è una sua responsabilità non essere riuscito a motivare in maniera adeguata tutti gli elementi della rosa. Allo stesso tempo, però, non me la sento di accodarmi a coloro i quali definiscono De Rossi un predestinato. Aspetterei, senza dimenticare che Mourinho ha vinto una Coppa ed è arrivato in finale in Europa League (con arbitraggio discutibile). E a José si deve anche una delle frasi più straordinarie: “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Per quel che riguarda il gruppo di allenatori nato dal Mondiale 2006, le dico che De Rossi, che sin qui nulla ha fatto, è il migliore. Qualcosina ha mostrato Gilardino. Per il resto, se non ricordo male, tra Gattuso, Grosso, Cannavaro, Inzaghi, Pirlo (che pure sta facendo benino alla Samp, le dirò: a me Pirlo non dispiace), siamo ancora messi maluccio.

2. Cambiamento e Garcia. È vero che io sono spesso a favore del cambiamento, soprattutto perché non amo il gioco che da Sarri in poi (tranne la parentesi Ancelotti) si pratica a Napoli. A Garcia, ex post, contesto la comunicazione criptica, la mancanza di coraggio nel dire apertamente quel che pensava. Ma gli concedo l’alibi della solitudine. Era davvero solo, nessuno (tranne pochissime persone) lo appoggiava. Nemmeno il Napolista. Però, col senno di poi, gli riconosco che era stato l’unico ad aver capito che quella squadra era bella che finita. E che forse per raggiungere il minimo risultato stagionale (ossia il quarto posto) avrebbe dovuto imparare a fare altro. È ovvio che tutto debba essere giudicato a seconda dell’efficacia, ma a Napoli c’è intolleranza rispetto a tutto quel che si discosti dal manuale del bravo sarrita.

3. Sarri. La mia avversione per Sarri deriva dalla natura politica del Napolista che non è un giornale calcistico ma è un giornale politico che ha un’idea di Napoli (e non solo). E Sarri rappresentava quell’immagine della città che io detesto profondamente: l’esercizio dell’alibi come ragione di vita, la colpa sempre e soltanto degli altri, quest’identificazione della città con la parola popolo che mi provoca l’orticaria, il sentirsi sempre ai margini e in lotta contro il Sistema (deriva populistica che ahimé adesso ha contagiato anche De Laurentiis). Vorrei ricordare che il Napoli di Ferlaino ha vinto due scudetti e una Coppa Uefa non solo grazie a Maradona ma anche alla vicinanza al sistema di potere del calcio italiano e che lo stesso Napoli acquistò Maradona perché era una città di potere: era una centrale del pentapartito e aveva il Banco di Napoli. Maradona veniva pagato in dollari. L’idea che Napoli sia sempre un luogo di favelas dove le persone cantano, ballano, piangono e trovano la felicità solo nel calcio mi fa semplicemente orrore. E Sarri, anche probabilmente perché all’epoca non aveva scelta, si fece interprete e simbolo di questa visione della città. Ovviamente lui se ne fregava come ha dimostrato andando – giustamente – alla Juventus dove alla prima domanda rispose affermando che il sarrismo non sapesse neanche che cosa fosse. Se poi i napoletani hanno voluto credere alla favoletta dell’assalto al Palazzo, beh sono problemi loro. Come disse brutalmente Wanna Marchi: «Chi compra i biglietti delle lotterie istantanee è un coglione. I coglioni vanno inculati».

4. Questione Allegri. È un sopravvalutato? Io propendo per il no. Il punto è il gioco e la pubblicità che ne deriva. Oggi se facessi l’allenatore, giocherei come Italiano o De Zerbi. Perché giocando così, sarebbe più facile trovare lavoro. Guardi De Zerbi. È certamente bravo ma nessuno ricorda che prese la guida del Brighton terzo in classifica. Lo ha sì portato per la prima volta in Europa ma quest’anno è nono ed è stato preso a pallate dalla Roma. Eppure è considerato un enfant prodige della panchina. Allegri paga il suo modo di giocare. Ma, risultati, alla mano, l’anno scorso senza penalità avrebbe portato la Juve in Champions; quest’anno a lungo hanno addirittura accarezzato il sogno scudetto. Con una squadra che a mio avviso è modesta, tranne qualche elemento. Una rosa può essere modesta anche se sulla carta costa tanto. Non compresi l’accanimento nei confronti di Vlahovic. Così come non comprendo il rapporto con Chiesa che per me è molto forte. E non è in grado di fronteggiare le critiche, quindi è inadatto a panchine come quella del Real Madrid o Barcellona (dove i giornalisti ti tolgono la pelle, non come da noi). Reagisce sempre in modo stizzito. Da questo punto di vista è profondamente inadatto. Non so se sia superato dal punto di vista calcistico. Io non credo. Però è diventato vittima del suo personaggio, rischia la deriva caricaturale, questo lo ammetto. Ma non riesco a capire perché secondo tanti tifosi e osservatori, a calcio ormai si debba giocare sempre e solo in un modo. Allegri è un panda. Le minoranze hanno diritto alla loro tutela. Aggiungo (avendo mio figlio a una scuola calcio) che Allegri ha ragione da vendere sulle scuole calcio dove i bambini non si divertono, non sono lasciati liberi di esprimere il proprio estro ma sono ingabbiati sin da piccoli nei principi del calcio barcelloneta.

5. Risultatismo. Mi perdoni ma questo continuo rifugiarsi nello spettacolo continua a essere per me incomprensibile. Lo sport che cos’è? Per me è superamento dei propri limiti. Proprio in questi giorni ho letto di un libro secondo cui questo è un concetto tipico del capitalismo mentre il principio base dello sport sarebbe la natura di gioco. In questo caso potrei essere anche d’accordo con lei. Ma nella competizione il più debole cerca – in maniera legittima e regolare – di impedire al più forte di vincere. Faccio un esempio: se gioco a tennis contro un avversario che ha un dritto devastante e altri colpi più accessibili, farò in modo di giocargli il meno possibile sul dritto. Nel tennis se in un caso come quello descritto l’avversario gli continuasse a giocare sul dritto, sarebbe unanimemente considerato un idiota (diciamo anche un coglione). Mai sentito nel tennis, anche a livello amatoriale, qualcuno dire: “è il mio tennis, io gioco così”. Tutti gli risponderebbero: e allora cambia sport. L’intelligenza sportiva (e non solo) è soprattutto capacità di adattamento alle diverse situazioni. Il calcio contemporaneo è un calcio ideologico. Hanno scambiato la costruzione dal basso per una rivendicazione politica. Gli allenatori parlano dei cosiddetti “principi di gioco” come se stessero esponendo la critica della ragion pura di Kant. Sempre più spesso sento, e resto ogni volta allibito, parlare di valori. Ma che vuol dire? Credo che un certo tipo di gioco possa andar bene se hai Iniesta, Xavi, Busquets, Messi. Non è la stessa cosa se hai altri calciatori. Oggi il City, giusto per un esempio facile, gioca in maniera completamente diversa. E continuo a pensare che in ogni sport esista il concetto di difesa (come dimostra anche Thiago Motta sul cui gioco ci sarebbero tante cose da dire). Non capisco perché nel calcio debba essere demonizzato. Poi, come ho scritto altre volte, Guardiola ha vinto la sua prima Champions dopo aver eliminato il Chelsea al termine di una partita che avrebbe dovuto perdere 5-1 e con un arbitraggio scandaloso. Non ha certo restituito la Coppa. Oggi il suo City è imputato in Inghilterra in un processo sulle regole che potrebbe stravolgere il calcio inglese e non solo. Ferguson si è consacrato vincendo una finale di Champions pazzesca, venendo preso a pallate per un bel po’ dal Bayern e poi segnando due gol nel recupero. La narrazione è figlia delle vittorie. Prima si vince, poi i media, i narratori si mettono al servizio di chi vince e provano in tutti i modi a mitizzarlo.

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