Al Corsera: «Max Pezzali un ingrato… Amadeus diceva di aver affittato casa a Milano, invece prendeva il treno delle 5 del mattino da Verona».
Il Corriere delle Sera ospita una chiacchierata con Claudio Cecchetto, 72 anni, talent scout, dj, produttore, conduttore radio e tv.
La presero in Rai per «Discoring», 5 mesi dopo era a Sanremo 1980.
«Gianni Ravera mi fa: “Ti va di presentare il Festival?”. “Come no. Però mi tolga una curiosità: perché ha scelto me?”. “Perché parli veloce, così mi ci entra un cantante in più”»
Tra i primi successi lanciati da Cecchetto c’è Sandy Marton
«Veniva alle feste di Radio Deejay. Alto, bello, biondo, per l’unica volta nella vita ho messo in discussione la mia virilità. Ma era solo l’ammirazione di un esteta, siamo diventati amici. Lo portai alla festa di compleanno di una ragazza, ad Avellino. “Fingi di essere uno della mia gang”. Le invitate urlavano il mio nome. Lo chiamai in consolle. “Vi presento Sandy”. “Ooohh”. Un attimo dopo mi avevano già dimenticato».
Beh.
«Tornati a Milano, lo convocai in ufficio. “Vedo che hai un certo appeal, incidiamo un disco. Canti?” “Non lo so”. “Suoni?” “Da piccolo, il pianoforte”. “Bene, sei perfetto”. Mi parlava sempre di Ibiza, non sapevo manco dov’era. “Scrivici una canzone”».
Con lui si rimorchiava.
«Quando eravamo in un locale, le ragazze guardavano sempre verso di noi. Ogni tanto mi spostavo, per vedere se gli sguardi seguivano me. Niente, gli occhi restavano puntati lì. Però dai, tanto schifo non facevo, me la cavavo»
Dopo Sandy, Sabrina Salerno.
«Era seduta davanti alla mia scrivania. “La ragazza vorrebbe fare la cantante”, mi spiegò l’agente. Un attimo dopo attaccò a cantare, sfrontata e decisa, come fosse la più brava al mondo».
Bomba sexy.
«Quando girammo il video di Boys, in piscina, con la maglietta bagnata, gli operatori si incantavano. “Ehi tu, guarda in macchina per favore!”».
Non è che pure lei si prese una mezza cotta?
Cecchetto sorride. Silenzio. «Beh… ecco… insomma». Si tocca i capelli. «Per un piccolo periodo ci siamo compresi… Ci vogliamo ancora bene».
Jovanotti.
«Il mio collaboratore mi disse: “È una pertica che non vale nulla”. Ma quando vidi la registrazione feci un salto. Lo chiamai con voce da boss: “È l’occasione della vita, vieni con me”. Bluffavo.Ma lui, intimorito, accettò».
Fiorello.
«Arrivò a Radio Deejay perché gli avevano detto che c’erano tante ragazze, mica per me. Andammo a cena, fu il mattatore. Gli dissi: “Licenziati e lavora con noi, fai l’animatore di un villaggio, diventerai quello dell’ltalia».
Amadeus il pendolare.
«Il nome lo presi dalla canzone di Falco, Amedeo non funzionava. Non voleva, poi si è arreso, ormai lo chiama così pure sua madre. Gli diedi appuntamento in hotel, dopo le prove del Festivalbar. Tornai dopo ore e lo trovai ad aspettarmi con il sorriso. “Eccomi, sono qua”. Mi raccontò di aver affittato casa a Milano, invece ogni mattina prendeva il treno delle 5 da Verona».
Max Pezzali.
«Preferisco parlare di Mauro Repetto, i testi esagerati degli 883 li scriveva lui, l’altro cantava. Gli consigliai di ballare sul palco “così attiri l’attenzione del pubblico”. Era fondamentale».
Con Max ha chiuso.
«La gratitudine per lui è un optional. Di tutti i miei è stato il più irriconoscente, in questo almeno è il numero 1».