La pena è riabilitativa, altrimenti ogni errore verrebbe pagato a vita. Per il difensore, invece, la difesa preconcetta di Figc e Spalletti fu molto spiacevole
La convocazione di Nicolò Fagioli in Nazionale, almeno nell’elenco dei trenta che poi Luciano Spalletti dovrà scremare, ha suscitato un bel po’ di indignazione. Ovviamente nel paese reale: sui social, nei bar, negli spogliatoi dei campi di calcetto. Insomma quella roba là, potremmo aggiungere le recite dei figli a scuola: una penitenza occidentale che è l’equivalente dei toscani per la celeberrima serie tv Boris.
L’indignazione è riassumibile nella battuta “indubbiamente la convocazione di Fagioli è una scommessa” (di Maurizio Crosetti su X). Fagioli è stato squalificato perché coinvolto in un giro di scommesse sportive illegali. Condannato a dodici mesi che di fatto tra una prescrizione e l’altra sono diventati sette. Siamo d’accordo che ci hanno fatto bere – Figc in testa – la boutade della ludopatia. Ricordiamo anche un rapidissimo rinnovo contrattuale con la Juventus. Fatto sta che la sua condanna l’ha avuta. L’ha scontata. Ed è anche tornato a giocare. Non vorremmo scomodare Beccaria per Fagioli. Ma la pena ha la sua funzione rieducativa. Non può essere esclusivamente afflittiva, tantomeno a vita. Terminata la condanna, il reo torna in società e la società deve favorire il suo reinserimento. Insomma è un calciatore come gli altri dal punto di vista dei diritti anche se in precedenza non ha assolto ai suoi doveri. Quindi non si capisce perché non debba essere convocato in Nazionale. Nel caso di specie, poi, Spalletti lo ha preferito a Locatelli calciatore – non ce ne voglia – tremendamente sopravvalutato, molto pompato a livello mediatico. Poi, se la questione riguarda la scarsa carburazione: Fagioli ha giocato pochissimo, appena uno scorcio di partita contro il Bologna. È un dibattito che già fu centrale nel 1982 con Paolo Rossi. Ovviamente Fagioli non è Paolo Rossi, però la sua convocazione ci sembra un atto di normalità.
Diverso invece il caso di Acerbi. La sua convocazione non è certo una sorpresa. Ma la sua difesa, molto pelosa, all’epoca della vicenda razzismo con Juan Jesus, fu una presa di posizione profondamente spiacevole sia da parte della Federcalcio con Gravina sia del commissario tecnico Spalletti che si spese con parole al limite della nauseabondo. Come ad esempio: «secondo me a livello di pubblicità siamo forse sopra quello che è avvenuto nella realtà». O, ancora: «Bisogna andarci piano, sono entrambi bravi ragazzi». C’entrava come il cavolo a merenda. O gli ha detto “sporco negro” o non gliel’ha detto. La giustizia sportiva ha ritenuto di non avere prove. Ma la difesa preconcetta e preventiva di Gravina e Spalletti è stato un momento deprimente, e ci teniamo bassi. Diciamo anche squallido. Poi Acerbi segnerà il gol che ci farà vincere l’Europeo. Non sposterebbe di un millimetro i termini della vicenda.