Si torna al 1989, o a cinque anni fa quando arrivarono prima Sarri e poi Pirlo. La sfida è effettuare un trapianto identitario
La Juventus pensa anche a De Zerbi (se dovesse saltare Thiago Motta). La strada juventina è tracciata. Al club bianconero Giuntoli vuole portare il presunto futbol bailado. La chiusura con Allegri possiamo eufemisticamente dire che non è stata gestita bene. La sfuriata di ieri sera è stata la conclusione di mesi di anarchia gestionale, in cui Giuntoli – invece di parlar chiaro al tecnico livornese – ha preferito procedere per sottrazione, con i risultati che abbiamo visto. Ora l’ex ds del Napoli vuole portare a Torino Thiago Motta con cui le trattative sono inoltrate ma non ancora concluse. Ci sono ancora aspetti da valutare, soprattutto dal punto di vista dell’allenatore del Bologna. Giuntoli si sta guardando attorno e Thiago Motta non è l’unico nome sul suo taccuino. L’altro è De Zerbi, tecnico del Brighton, alfiere del gioco contemporaneo che tanto piace ai cosiddetti esteti.
Con l’addio di Allegri si può dire che cinque anni dopo, la Juventus torna alla casella di partenza. Anche se le differenze sono tante. Allora, era il 2019, fu una svolta tirata per i capelli. Poco convinta. Al timone c’era ancora Andrea Agnelli che si lasciò persuadere da Paratici e Nedved: secondo loro il calcio di Massimiliano Allegri era il vecchio (già allora, sigh) nonostante i cinque scudetti consecutivi e le due finali di Champions. Il nuovo che avanzava era rappresentato da Maurizio Sarri l’uomo che in Italia aveva fatto il pieno di premi della critica e col Chelsea aveva vinto l’Europa League. Lo portarono a Torino e fu un matrimonio stiracchiato. Senza luna di miele. Incompatibilità di carattere, si sarebbe detto un tempo. Si vinse lo scudetto meno celebrato della storia bianconera. «Non lo abbiamo neanche festeggiato, ognuno è andato a cena per conto suo» disse il Comandante. È stato l’ultimo campionato vinto. L’anno successivo si optò per la sperimentazione Pirlo, quasi una scelta psichedelica per l’austera Torino. Dopodiché si tornò all’antico. La restaurazione. Di nuovo Allegri.
Se l’obiettivo era tornare a vincere, non ha funzionato. Tranne per la movimentata finale di Coppa Italia. Nel frattempo, però, tante cose sono accadute. Un terremoto societario. La detronizzazione di Agnelli in favore del cugino John Elkann. L’addio a quella Juventus viscerale che ben rappresenta lo zoccolo duro della tifoseria. Tifosi che da dopo Calciopoli si sentono perennemente accerchiati e vittime di complotti. Per tanti, l’inchiesta sulle plusvalenze è stata solo la conferma che in fondo nulla è cambiato. Allegri ha ritrovato attorno a sé una Juve profondamente cambiata. Più attenta ai conti. Senza ambizioni di grandeur. Persino un anno fuori dall’Europa. Criticavano il suo gioco quando vinceva cinque campionati di fila, figurarsi oggi.
L’anno prossimo non sarà lui l’allenatore. Il club ancora una volta proverà a forzare il proprio Dna. I più in là con gli anni ricordano la svolta Maifredi voluta da Luca Cordero di Montezemolo. Il calcio champagne dell’ex tecnico del Bologna. Guarda un po’, corsi e ricorsi storici. Allora finì malissimo. Con le truppe di Trapattoni richiamate in città. Sembra assurdo ma i club hanno un proprio codice genetico. I trapianti sono operazioni delicate. C’è un’anima di cui tener conto. Allegri e la Juventus si salutano. E nonostante le scontate previsioni, è arduo stabilire chi dei due mancherà di più all’altro.