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Ranieri: «In Italia siamo ossessionati dai trofei. Gasperini meritava già prima la considerazione di tutti»

A Sky: «Ora mi dedico ai miei nipoti. Mio nipote lo tratto quasi come un giocatore, vuole vincere sempre ma deve capire che bisogna sudarsele le cose»

Ranieri: «In Italia siamo ossessionati dai trofei. Gasperini meritava già prima la considerazione di tutti»
Db Torino 21/08/2023 - campionato di calcio serie A / Torino-Cagliari / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Claudio Ranieri

Claudio Ranieri ha annunciato la fine della sua carriera da allenatore. Solo una nazionale potrebbe farlo tornare in panchina ma il Cagliari sarà il suo ultimo club. Dopo lo aspettano i suoi nipoti. Sky lo ha intervistato prima dell’ultima partita con il Cagliari.

Ranieri: «Se un domani dovesse esserci una nazionale, non quella italiana, potrei dire di sì»

Difficile concentrarsi ora sulla partita contro la Fiorentina con tutte le emozioni di questi ultimi giorni?

«Sono rilassato, è stato bellissimo. Voglio innanzitutto celebrare l’Atalanta. Ho mandato un messaggio a Tullio Gritti (vice allenatore dell’Atalanta, ndr), che conosco da una vita, dicendogli che sono stati meravigliosi. Voglio fare i complimenti a Gasperini. L’Atalanta è l’orgoglio degli italiani. Credo che ogni italiano si sia riempito il cuore guardando quella partita».

Gasperini ha 6 anni meno di te e ha conquistato il primo trofeo:

«È questo che noi italiani abbiamo di sbagliato. Si giudicano gli allenatori per i trofei. Ma perché? Non è che si possa vincere sempre e tutto il lavoro che c’è stato prima vale nulla? Siamo un po’ troppo ossessionati dai trofei… Gasp meritava già prima per il lavoro che ha fatto in tutta la sua carriera. Doveva già avere la considerazione di tutti. Non soltanto perché ha vinto. Questo alcune volte mi dà fastidio…».

Stupito dalle reazioni del mondo del calcio?

«Mi ha fatto enormemente piacere il calore e la considerazione della gente. Stare sull’isola non è come stare sul continente. Quando sei fortunato devi fare due voli. Io capisco i sacrifici che fa il popolo sardo. Sono magnifici, posso solo dirgli grazie».

Perché questa decisione?

«Prima del Cagliari avevo avuto 2/3 richieste che non si sono mai concretizzate. E mi chiedevo come mai, solitamente alla prima occasione ci si mette d’accordo. Quando è arrivato il Cagliari ho capito che il fato voleva che io chiudessi il cerchio qui. Se un domani dovesse esserci una nazionale, non parlo di quella italiana, che mi fa scattare un qualcosa posso dire di sì. Ma altre squadre di club non le prendo. Io credo nel destino degli uomini e soprattutto nel mio destino. Dentro di me dicevo che volevo inaugurare il nuovo stadio perché ho iniziato all’Amsicora e sono stato al Sant’Elia e all’Unipol Domus.

Poi le cose vanno avanti e capisci che è difficile che si faccia. Di intoppi burocratici in Italia ce ne sono troppi e io sono sorpreso che alcuni club siano riusciti a farsi lo stadio. Evidentemente nelle loro regioni tutto funziona bene, ma non voglio entrare in cose che non mi appartengono… Dentro di me ho detto che volevo concludere bene. A quel punto il cerchio sarebbe stato veramente perfetto: 3 promozioni, 2 salvezze. Sono un uomo fortunato, devo chiudere così».

Ti stai preparando per l’addio? Hai visto l’addio di Klopp?

«Mi è sembrato che gli siano uscite delle lacrime, io spero di riuscire a trattenerle. Mi auguro che chiunque venga dopo di me abbia il supporto che ho avuto io. Quando sono arrivato all’aeroporto c’erano migliaia di persone ad attendermi. Ho chiesto aiuto ai tifosi perché quando sono arrivato la squadra non era in una posizione di classifica tale da farti pensare che ce la poteva fare. Era giù moralmente, aveva perso autostima. Ho pensato che potevo spingerla, ma il pubblico doveva soffiare dietro. E loro mi hanno ascoltato, riempiendo l’Unipol Domus dal primo giorno.

Anche quando non abbiamo vinto alcune partite che alcuni potevano giudicare facili, ma di facile nello sport non c’è niente perché tu ti prepari al meglio, ma anche l’avversario lo fa e gli uomini non sono delle macchine. Per cui il pubblico nei momenti difficili non ha mai perso la fiducia nella squadra, che ha fatto un lavoro meraviglioso, ma io lo dico grazie a tutti quanti: cuochi, staff medico, presidente, direttore sportivo. Tutti hanno spinto in un’unica direzione. Da solo, sono sincero, non ce l’avrei fatta».

Quale è la prima cosa che farai quando riuscirai a prendere le distanze?

«Un po’ di vacanze, un po’ di viaggi. Io non avevo 18 anni quando ho iniziato nel mondo del calcio. Per cui ho sempre visto alberghi, aerei e stadi. Quasi nient’altro. Quindi vorrei dedicarmi alla mia famiglia, ai miei nipoti. Li vedo una volta ogni tanto, credo di dover fare anche il nonno qualche volta. Il bello è che mio nipote lo tratto quasi come un giocatore. Lui quando giochiamo vuole vincere, ma io non glielo lascio fare, deve capire che bisogna sudarsele le cose».

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