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Anna Pavignano: «Massimo Troisi mi raccontava le sue scappatelle e io ero perfino contenta» (Oggi)

La storica compagna e sceneggiatrice di Troisi: «Abbiamo peccato di arroganza. Ci ritenevamo superiori ai sentimenti “borghesi”, alle convenzioni familiari»

Anna Pavignano: «Massimo Troisi mi raccontava le sue scappatelle e io ero perfino contenta» (Oggi)

Sono trent’anni che Massimo Troisi non c’è più e Oggi ha intervistato Anna Pavignano storica compagna e sceneggiatrice di Massimo.

Troisi morì non appena terminate le riprese de Il Postino, senza riuscire a fare l’intervento cardiaco programmato a Londra. Forse lui sarebbe il primo a non gradire l’enfasi versata per celebrare il suo “estremo sacrificio”.

«È innegabile che volle terminare Il Postino a ogni costo, prima dell’intervento da effettuare a Londra, di lì a poco. Ma si autoimpose ritmi così serrati, non perché avesse decretato che gli stava bene morire a 41 anni. La realtà è più pragmatica che stoica. Nel 1993, a Houston, Massimo aveva effettuato il controllo della sua valvola al titanio. Gli esiti erano stati disastrosi. E allora decise che avrebbe affrontato la nuova, complicata sfida operatoria senza progetti in sospeso. Con la mente sgombra. Credeva sarebbe stato meglio per la sua salute. Non andò così»

Si conobbero a Torino, negli studi Rai, ma delle parti private del loro rapporto non vuole parlare

«Non le svelerò il retroscena del primo bacio. Per la semplice ragione che non me lo ricordo»

Come vi siete innamorati?

«Premesso che Massimo era un bel ragazzo e non passava di sicuro inosservato, gli istanti fatali furono due. Il primo scoccò in una sessione di prove molto pesanti. L’innovativo spettacolo creato da Trapani prevedeva che stessimo sempre tutti dietro le quinte, pronti a intervenire. A volte le giornate non passavano mai, soprattutto per noi comparse. Però quel pomeriggio, nella stanchezza e prostrazione che cominciavo a provare, incrociai a un tratto il suo sguardo, complice e partecipe.Mi prese per gli occhi in mezzo alla bolgia».

Il secondo attimo fuggente?

«Ancora a teatro. Si gelava, era sera. Io portavo la minigonna prevista dal copione e tremavo, in attesa che arrivasse il mio turno.Massimo aveva il suo tutù di scena e una vestaglia. Si avvicinò, se la tolse e mi ricoprì. Un grande atto d’amore, considerato quanto fosse freddoloso».

Lei e Troisi averte mai parlato di nozze?

«No. Non era nelle sue corde e, all’epoca, neppure nelle mie. Ci amavamo in modalità ideologica. Avevamo stabilito a tavolino di essere una coppia aperta, alla moda. Ce la raccontavamo».

«Era malinconico per tendenza poetica, non per ipocondria. E aveva un principio inderogabile nella sua scala di valori: evitare le responsabilità».

Un rifiuto che includeva i figli?

«Sì. Io, al contrario, dal mio primo marito ne ho avuti due: Andrea e Alessio, 35 e 28 anni. Si occupano di cinema, ça va sans dire».

E Troisi come affrontò la sua maternità?

«Non ne parlammo praticamente mai. Di rado mi chiedeva notizie. Incontrò a stento il primogenito. Se ci pensiamo bene, questa già è una risposta. La verità è che abbiamo peccato di arroganza. Ci ritenevamo superiori ai sentimenti “borghesi”, alle convenzioni familiari. Massimo mi raccontava le sue scappatelle e io ero perfino contenta. Mi illudevo di controllare la gelosia. Se guardo il passato, non provo nostalgia; però ho un grosso rimpianto: non siamo stati capaci di costruire un rapporto istituzionale e di sopportarne il fardello»

Ha fatto pace con la sua scomparsa?

«No. Il dolore più grande è stato congedarmi al telefono, come se stesse andando a togliersi l’appendicite. Come ho potuto essere così stupida? Come ho potuto? Massimo mi manca. Siamo immersi in un’epoca tetra e turbolenta. Abbiamo rubato il futuro ai giovani. Lui avrebbe saputo indicarci una strada alternativa. Una via d’uscita. Con intransigente ironia».

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