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Chi sostiene che il calcio è apolitico, vuole uno sport che non esiste (El Paìs)

“Perché dovrebbe interessarci il film preferito di un giocatore ma non la sua ideologia? Il calcio è sempre stato uno spazio di resistenza, protesta, propaganda militare o simbologia politica”

Chi sostiene che il calcio è apolitico, vuole uno sport che non esiste (El Paìs)
France's forward Kylian Mbappe reacts during a press conference at the Algarve stadium, in Faro on June 15, 2023, on the eve of their UEFA Euro 2024 group B qualification football match against Gibraltar. (Photo by FRANCK FIFE / AFP)

“È sentimento comune che a nessuno interessi l’opinione politica dei calciatori, che debbano restare neutrali perché rappresentano un club che comprende tifosi con sensibilità diverse”. E invece proprio no. Per niente, scrive Lucia Taboada sul Paìs. Dovrebbe essere un’ovvietà, ma evidentemente dopo le polemiche sulla campagna elettorale di Mbappé, tocca ribadire il concetto: “Gli stadi sono sempre stati un luogo unico di identità collettiva. Chi sostiene che il calcio è apolitico vuole uno sport che non esiste“.

“Il calciatore perfetto e immacolato deve esprimere la sua opinione esclusivamente sul pallone, una questione unica come nelle competizioni. Il calciatore sobrio non parla, si limita a giocare. Beh, oppure parla poco, abbastanza per non disturbare, ma soprattutto abbastanza per non esporsi. Perché? Perché ci interessa il film preferito di un giocatore, che musica ascolta, dove va in vacanza (probabilmente Ibiza o Santorini), cosa gli piace mangiare, chi segue sui social, con chi interagisce, che locali frequenta , ma non possiamo essere interessati alla loro ideologia?”.

“Non mescolare il calcio con la politica, ci viene detto, come se fossero candeggina e ammoniaca, aceto e bicarbonato di sodio, o peggio ancora, come se mescolassimo tequila con Jägermeister a partire dalle due del mattino, ignorando gli effetti della i postumi della sbornia. Il calcio, ci viene detto, è uno spazio sacro apolitico, il luogo in cui fuggire dai grattacapi del mondo reale. Ma quel santuario intoccabile è una mera illusione. A tutti noi piace pensare che il calcio sia un eden di distrazione, una sorta di innocua zona di gioco, intrattenimento e irrilevanza. Anche se nel profondo sappiamo tutti che, al di là del piacere che di tanto in tanto ci offre il calcio, lo spettacolo è profondamente deformato e, ovviamente, attraversato dal denaro e dalla politica. Come potrebbe non essere se le organizzazioni calcistiche internazionali, i dirigenti che le presiedono, le decisioni che prendono, le sedi che scelgono, gli accordi commerciali che raggiungono, se tutto, proprio tutto, ha a che fare con la politica”.

“Gli stadi hanno sempre offerto un luogo unico per la rappresentazione pubblica di un’identità collettiva. E il calcio è sempre stato uno spazio di resistenza, protesta, propaganda militare o simbologia politica. Chi afferma categoricamente che il calcio è apolitico vuole uno sport che semplicemente non esiste. E chi chiede di tenere la politica fuori dal calcio lo fa solo in relazione a questioni che direttamente disprezza o che preferisce ignorare”.

 

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