ilNapolista

Chiesa: «La prima volta che vidi Buffon, piansi. Ero piccolo, mi spaventò con il suo aspetto da omone grosso»

A L’Equipe: «”Essere figlio di” non è mai stato un problema, anzi. I miei genitori mi hanno sempre permesso di giocare a calcio senza pressioni»

Chiesa: «La prima volta che vidi Buffon, piansi. Ero piccolo, mi spaventò con il suo aspetto da omone grosso»
Db Napoli 03/03/2024 - campionato di calcio Serie A / Napoli-Juventus / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: esultanza gol Federico Chiesa

Chiesa: «La prima volta che ho visto Buffon ero piccolo. Piansi, mi spaventò con il suo aspetto da omone grosso»

Federico Chiesa si racconta all’Equipe, alla vigilia della partita tra la Spagna e l’Italia.

La sua formazione scolastica.
«Ero un bambino introverso e timido. Mia madre mi iscrisse alla Florence International School e mi piacque molto. Ha avuto un impatto enorme sulla mia vita e sulla mia crescita come calciatore. Gli alunni provenivano da tutto il mondo, da tutti i continenti. Incontrare, conoscere e capire tante persone di culture diverse, confrontarsi con loro, mi ha aiutato ad aprire la mente e mi è stato molto utile».

Sul padre Enrico.
«Sono cresciuto con il pallone, guardando mio padre giocare (Enrico, attaccante e internazionale italiano, 17 caps, 7 gol dal 1996 al 2001). Indossavo le maglie che collezionava. C’è questa foto di me bambino in braccio a lui in campo quando giocava nel Parma (1996-1999), o questo video di me che calciavo il pallone nel salotto di casa. Non ricordo quel periodo, ma c’è una storia che mi ha raccontato mio padre. Gigi Buffon venne a stare da noi e mi spaventò. Era un omone, massiccio, con questo sguardo (mima un aspetto imponente), i capelli raccolti, non lo conoscevo, avevo paura di lui e mi sono messo a piangere».

Chiesa: «Il mio nome non è maistato pesante da portare»

Sul peso di “essere figlio di”.

«Nella scuola italiana, dai 6 ai 10 anni, conoscevano mio padre, quindi c’era un po’ il problema di essere figlio di una persona famosa e questo poteva attirare l’attenzione su di me. Ma nella scuola internazionale non sapevano quasi nulla di calcio, quindi non sapevano chi fosse o cosa avesse fatto.  Non c’è mai stato quel peso, quella difficoltà di essere il figlio di… Il nome non è mai stato un peso da portare. Anzi, il contrario. I miei genitori mi hanno sempre permesso di giocare a calcio senza pressioni e di seguire il mio sogno in Serie A. E mi ha aiutato avere i consigli giusti e preziosi di un padre calciatore».

Federico Chiesa spera di conservare il titolo europeo vinto nel 2021. Finora solo la Spagna ci è riuscita nel 2012.
«Sono tornato molto vicino al livello a cui ero prima della battuta d’arresto. Ora si tratta di diventare ancora più forte. I “top”, i campioni, usano e sfruttano la loro determinazione e forza mentale per superare le difficoltà e migliorare».

La sua visione del gioco.
«Il posto in cui mi sento più a mio agio è l’ala. Ed è anche dove sento di rendere al meglio. Naturalmente, con l’avanzare dell’età, quando il calcio diventa un lavoro, il divertimento viene spesso messo da parte. E lo stesso vale per gli allenatori. Ci sono aspetti tattici, più pressione… Ma il calcio che gioco oggi è lo stesso che giocavo da bambino. Quando prendo in mano il pallone, mi diverto allo stesso modo. Mi piace ancora giocare, segnare, aiutare i miei compagni e dribblare. Quello che voglio è rimanere un top player per diversi anni, perché è questo che fa la differenza. Non sono una o due stagioni ai massimi livelli a segnare una carriera e a fare la differenza quando finisce. È la continuità e la longevità».

Il suo rapporto con la fama.

«La celebrità è un piacere perché la vedo come un riconoscimento per il lavoro che ho fatto. Quello che ho dimostrato attraverso il calcio mi dà gioia e, in un certo senso, segna dei momenti della mia vita. Un giorno, all’aeroporto, una bambina si mise a piangere quando mi vide. L’ho presa in braccio e ho provato la stessa emozione. Mi sono detto: “Se porto questa gioia andando là fuori, allora la fama è una cosa bellissima”. In un certo senso, questo è il lato positivo. Ma non è la ragione principale della mia carriera».

 

ilnapolista © riproduzione riservata