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Conte porta a Napoli la dittatura del lavoro

Ha parlato da leader politico. Serietà, ossessione, esempio le sue parole d’ordine. Ha chiarito che comanda lui e che lo spettacolo è fumo

Conte porta a Napoli la dittatura del lavoro
Tottenham Hotspur's Italian head coach Antonio Conte gestures on the touchline during the English Premier League football match between Tottenham Hotspur and Nottingham Forest at Tottenham Hotspur Stadium in London, on March 11, 2023. (Photo by JUSTIN TALLIS / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE. No use with unauthorized audio, video, data, fixture lists, club/league logos or 'live' services. Online in-match use limited to 120 images. An additional 40 images may be used in extra time. No video emulation. Social media in-match use limited to 120 images. An additional 40 images may be used in extra time. No use in betting publications, games or single club/league/player publications. /

Conte porta a Napoli la dittatura del proletariato. Che poi – come insegna la storia – diventerà presto la sua, di dittatura. La dittatura di Antonio Conte. Questo il succo della conferenza stampa di presentazione del nuovo tecnico partenopeo, accolto (in parte giustamente) con un entusiasmo senza precedenti, e con gli onori che si riservano ai più grandi.

Con Antonio Conte si lavora

Dittatura del proletariato, sì. Perché i concetti chiave della conferenza stampa – al di là della retorica, del miele e di tutto quello su cui è francamente inutile soffermarsi – sono due. Il primo è che con Antonio Conte si lavora. Il mister non dismette i panni del capo militare, anzi… li indossa piuttosto orgogliosamente. Cosa porta con sé? La cultura del lavoro. Chi non lavora non è il benvenuto. Il talento non basta, conta l’ossessione. Conta la rabbia. Qualcuno non è contento? Amen: «si mette accanto a me, gli racconto due cose e vediamo se si diverte». Sicurezza, piglio, decisione. «Amma faticà».

Significa che sarà un Napoli operaio? Forse sì. Le squadre di Conte, storicamente, sono state sempre un po’ operaie, nonostante la qualità. Sicuramente sarà un Napoli diverso dal passato. Alla domanda su Spalletti, su Sarri, sulla presunta identità giochista dei partenopei, il nuovo capo fa quasi spallucce: non gliene frega niente. Per lui «è fumo». A Conte interessa vincere ed «entrare nel cuore dei tifosi», e la sua ricetta è sputare sangue. Non ne conosce un’altra, l’impressione è che non voglia neanche conoscerla. «Do tutto ai miei calciatori, ma pretendo tutto»: ricorda un po’, per dirla proprio con un vecchio slogan di sinistra, «el mundo cambia con tu ejemplo, non con tu opinion».

Chissà se Conte piazzerà il lettino a Castel Volturno, ma è certo – ce l’hanno detto gli ex Kim ed Elmas nel documentario sullo scudetto prodotto da De Laurentiis – che quel gesto di Spalletti ebbe un peso nello spogliatoio che poi vinse il campionato. Kim ed Elmas spiegano con parole chiare che se il tuo leader dorme su un letto di merda nel suo ufficio, è come se si mettesse in trincea. E tu, calciatore, sei pronto ad andare in guerra per lui. Conte è in questo solco, gli interessa questo. Gli interessa molto di più rispetto ad una presunta identità offensiva o offensivista.

Il secondo concetto: “comando io”

Il secondo concetto: comando io. Conte lo chiarisce sin dai primi momenti della conferenza stampa. «Al Presidente ho chiesto una garanzia: l’ultima parola è mia»: vale per i calciatori da acquistare, vale per i calciatori da cedere. Ovviamente all’interno di un range di sostenibilità aziendale, ci mancherebbe. O, ancora, «Kvara rimane. No, lo ribadisco perché non so se è chiaro: rimane»: rimane perché l’ha deciso lui, perché comanda lui. Lui e basta. È una specie di rivoluzione nel Napoli. Sul Napolista l’avevamo già scritto, in realtà. De Laurentiis ha affidato a Conte il timone. Una specie di delega in bianco, mai vista in vent’anni di presidenza. Una sorta di cambiamento di fase. E lo racconta anche il fatto che Aurelio abbia assistito, con grande saggezza, quasi in silenzio alla conferenza stampa. Un unicum per una rockstar come lui, che di solito davanti ai giornalisti dà il meglio (o il peggio, dipende il lato da cui la si guarda) di sé. Conte ha accettato l’incarico e rincarato la dose: «sono un allenatore di campo ma sono anche un manager. Voglio voce in capitolo, da qualche parte questo dà fastidio». Tac, stoccata ad Ibra.

Insomma, la rivoluzione è servita. Il leader ha indossato l’elmetto. Il Napoli cambia fase, cambia volto. Indossa la «faccia incazzata». Porta con sé «la delusione per quello che è successo l’anno scorso». Ma è un anno zero. Con un comandante dalle idee piuttosto chiare, che non solo vuole tornare immediatamente – «non ho particolare pazienza, non mi piace fare il comprimario» – a competere per vincere. Ma che dopo ha la pretesa di «gestire la vittoria». Conte parla da leader politico e il Napoli ha scelto il suo programma di governo per uscire dalla crisi. Un programma drastico, certo. Ma senz’altro chiaro ed affascinante.

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