Le mazzate prese gli hanno fatto bene. È andato sul mercato, ha speso e ha preso i migliori. Anche Napoli può farlo: questo emoziona, non il neoborbonismo calcistico
De Laurentiis è tornato: cultura d’impresa, Conte e addio al plebeismo
Antonio Conte a Napoli è un grande colpo. Calcistico. Di immagine. Imprenditoriale. È il colpo che riporta il Napoli al centro della scena. E che ci fa ritrovare il presidente che abbiamo apprezzato per diciannove anni e che – dopo l’ebbrezza del successo – abbiamo creduto che avesse inesorabilmente imboccato il viale del tramonto. Ad Aurelio De Laurentiis invece dobbiamo riconoscere che a dispetto dell’annata disastrosa farcita di dichiarazioni e comportamenti da vecchio (no anziano, vecchio) senza speranza e imbevuto di sé, era in atto un profondo e spietato processo di autoanalisi. Chiamiamola autocritica. De Laurentiis ha avuto la lucidità di osservare i bassifondi dove è riuscito a portare il Napoli che per diciannove anni era stato un gioiellino come azienda e come club.
È come se una parte di sé fosse rimasta spettatrice. Come se avesse visto il De Laurentiis che entrava sempre negli spogliatoi tra il primo e il secondo tempo. Che assisteva agli allenamenti come se fosse dotato di poteri taumaturgici. Che all’errore Garcia (il meno grave di tutta l’annata) aggiungeva la follia di richiamare Mazzarri per poi affidarsi alla brace Calzona. Il De Laurentiis che ha creato disparità nello spogliatoio con un contratto da nababbi a Osimhen. Che ha portato lo stato maggiore del Napoli alla presentazione del libro del procuratore Giuffredi (con cui adesso è in rottura prolungata) come se stessimo parlando di Giovanni Verga. E che si era rapidamente convertito al populismo. Beandosi di essere idolatrato da quegli stessi tifosi che lo avevano sommerso di critiche e insulti per anni.
Anche gli schiaffi hanno aiutato De Laurentiis a rinsavire
Il Napoli – è fondamentale ricordarlo e non dimenticarlo mai – ha vinto il campionato in opposizione alla città. La miglior campagna acquisti della storia del club è stata messa a segno in un clima di odio. Volevano cacciare tutti: da De Laurentiis a Spalletti. Poi, a campionato stravinto, sono saliti tutti sul carro del vincitore. E il vincitore ne è stato persino orgoglioso. Ha cominciato a parlare la loro lingua. A nutrire il “mostro” col cibo che prediligeva. Poltiglia neoborbonica in salsa calcistica. Come la frase su Giuntoli juventino. Non capiva, allora, che più concedeva sul terreno dell’ignoranza, più affossava il Napoli e danneggiava i conti del club. Quel mostro infatti lo ha travolto. Quella foto con gli ultras (l’inizio del declino) altro non fu che un tradimento culturale. E i tradimenti culturali si pagano, com’è giusto che sia. Crediamo che il rinsavimento di De Laurentiis sia passato soprattutto attraverso l’analisi dei conti e del bilancio del Napoli. Ma ci prendiamo il merito, noi che lo avevamo sempre sostenuto, di avergli cominciato a rifilare ceffoni sonanti. E di averlo fatto quasi in solitudine, mentre tutt’attorno erano solo balli e festeggiamenti (perché, al fondo, c’era la convinzione che Napoli non potesse mai ri-vincere). Avevamo compreso subito, sin da quella foto, che il signor Aurelio aveva smarrito la retta via. Che stava portando il Napoli a deragliare. Quando si alza il livello del populismo, si accende la spia del Napolista. Se tieni a qualcuno che sta sbagliando, è doveroso riportarlo alla realtà. De Laurentiis si è meritato le stroncature più violente. Perché ha rischiato di buttare a mare il gioiellino che aveva creato.
Guardiamo all’oggi e viene quasi da commuoversi pensando che laddove l’anno scorso c’era l’annuncio dell’ingresso in società del genero Sinicropi e del ds Meluso (brava persona e bravo professionista ma evidentemente ingaggiato solo per riempire la casella), oggi ci sono Antonio Conte e Gabriele Oriali (oltre a Manna). Ancor prima di Conte, proprio l’arrivo di Oriali è una novità assoluta nel Napoli di De Laurentiis. Non era mai esistita una figura simile, e poi così autorevole. Il ruolo di cui i tifosi hanno invano fantasticato per anni. Chi ama il calcio, non può non emozionarsi al pensiero che Oriali venga a lavorare qui. Viene voglia di intervistarlo per un’ora solo su Stielike e su quella finale. Un uomo che trasuda calcio.
Adl ha compreso che nel Napoli c’era un deficit di cultura calcistica
De Laurentiis ha compreso che nel Napoli c’era un deficit di calcio. Di cultura calcistica. Di conoscenza calcistica. Ha capito che uno non vale uno. Che l’uomo solo al comando è roba da falliti che raccontano storie inventate al bar. Che servono competenza, esperienza, affidabilità. E ha deciso che era arrivato il momento di spendere. Come dicono gli americani: “when in trouble, go big”. Quando sei in difficoltà, vai all’attacco, gioca pesante. È quel che ha fatto. Forse per la prima volta nella sua esperienza di presidente del Napoli, ha assunto un vero rischio d’impresa. Chapeau. Crediamo che dopo anni, il presidente tornerà anche negli Stati Uniti. Ha capito che deve fare il presidente del Napoli, non del Borgorosso. Ha creato una struttura in grado di governare al meglio la baracca. I suoi compiti sono lontano dal campo e dallo spogliatoio.
Manca un passaggio su Antonio Conte. Che cosa possiamo aggiungere? È un grandissimo allenatore, è ovvio. È un profondo conoscitore di calcio, si sa. Ha anche un brutto carattere, pure questo è noto. Napoli sarà un banco di prova per il suo carattere. Ci emoziona l’idea che il Napoli sia riuscito a convincerlo. Così come ci emoziona l’idea di vederlo in panchina dalla nostra parte. A noi il presunto processo di juventinizzazione piace, eccome. Ci allarga i polmoni (poi chiediamo: quindi con Giuntoli la Juve si è napoletanizzata?). Noi preferiamo raccontarla diversamente. Il Napoli è andato sul mercato e ha avuto la forza contrattuale (i dané) per prendere i migliori. È una rivoluzione culturale e del resto basta osservare la reazione di tanti “nordisti” che non si capacitano di questa resurrezione. La speranza è che De Laurentiis abbia compreso la lezione. Che non torni mai più al plebeismo. E per provare a convincerlo gli ricordiamo che ogni concessione al plebeismo gli è costata un bel po’ di milioni. In un’annata fallimentare di milioni ne ha bruciati circa un centinaio: qualcosa in più e non in meno.