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Giriamo i video al Natisone durante la tragedia perché non sappiamo più che esiste la morte

Viviamo in una società imbellettata. Sangue, merda e morte non le scorgiamo più. E allora giriamo video, viviamo in una bolla virtuale

Giriamo i video al Natisone durante la tragedia perché non sappiamo più che esiste la morte
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Giriamo i video al Natisone durante la tragedia perché non sappiamo più che esiste la morte

La morte arriva e non ti fa affatto bella. Sotto le sembianze di un fiume (il Natisone) in improvvisa piena. Circonda e inghiotte tre giovani che restano abbracciati ad aspettarla. Una di loro, Bianca, non sa nuotare. Gli altri due non la abbandonano. Tutto avviene rapidamente. La natura se li prende e li porta via. Neanche il tempo di realizzare. I corpi di Patrizia e Bianca sono stati ritrovati e come da tradizione rumena le due sono state vestite da sposa per il funerale. Cristian è tuttora disperso. L’altro giorno, la madre di Patrizia, ovviamente in balia della disperazione, ha detto: «Ciò che più mi addolora è che tutti hanno fatto foto e video e nessuno li ha salvati. Nessuno. Non era importante fare i video». Sì, non era importante fare video. Ovviamente. A noi, che non siamo devastati dal dolore, vengono due osservazioni. La prima è che è arduo chiedere a un passante di sfidare il fiume in piena, di mettere a rischio la propria vita per un tentativo complesso di salvataggio. Ma non è il punto che ci sta a cuore.

Ce n’è un altro. Ed è l’imbellettamento delle nostre esistenze che ormai domina questa porzione di Occidente che abitiamo. L’edulcorazione di ogni frammento di vita. Sangue, merda e morte non le scorgiamo più. Neanche sappiamo che r-esistono. È tutto perfettino. Eppure siamo circondati da assassinii borghesi. Da anfratti della realtà che di tanto in tanto conquistano le cronache. Sono lampi che durano attimi. Tutto viene rapidamente rimesso in ordine dalla chirurgia estetica della realtà virtuale. Immersi in questa condizione, non c’è da meravigliarsi che ci sia chi registra un video senza arrivare neanche a collegare che quelle persone presto saranno irriconoscibili perché sbattute sulle rocce e senza vita. Non è stupidità. Non lo sa perché non ne parliamo. Perché non la vede mai la morte. Neanche con una guerra e mezza alle porte di casa. È la dissociazione di una comunità che ha espunto la miseria e la barbarie dalla nostra quotidianità. Che si è autoconvinta che nel 2024 non si possa morire travolti da un fiume in piena o da un terremoto che devasti i Campi Flegrei o altro. Perché siamo nel 2024 e abbiamo l’auto elettrica e il telefonino. Perché, al fondo, abbiamo scelto di vivere in un inganno. E crediamo che sia il modo migliore. Imbellettare. E mettere sotto il tappeto. Che siano le morti. La disperazione. Il conflitto. Il linguaggio aspro. È tutto limato. Tutto smussato. Tutto deve essere reso presentabile. Ma questa non è la vita. Al massimo è la vita virtuale. Dove, appunto, si pubblicano i video di tre giovani che stanno per morire.

(L’articolo è stato pubblicato sul Riformista del 7 giugno)

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